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  • A Bologna la partita più bella per una strage senza colpevoli

    A Bologna la partita più bella per una strage senza colpevoli

    • Marco Bernardini
    Le lancette dell’orologio sono ferme sulle 10.25. Da trentasette anni sono così e l’ora non verrà mai aggiornata. Perché quello non è un semplice orologio, ma un monumento. Una “stele” funeraria e commemorativa per tutti coloro i quali passando per la stazione di Bologna (foto da IlRestodelCarlino.it) saranno obbligati a ricordare e a fare il segno della croce nel caso siano credenti.

    Ottantacinque persone ammazzate. Duecento feriti molti dei quali rimasti invalidi o mutilati. Fu il nostro “11 settembre”. Con la differenza che per quella strage agghiacciante a noi non venne mai offerto sul piatto nessun Bin Laden da accusare e al quale dare la caccia. Finirono in manette, è vero, due brigatisti neri. Ma loro, Mambro e Fioravanti, erano i manovali esecutori di quella carneficina. I mandanti e quindi i veri responsabili non vennero mai individuati. Come per tanti altri “misteri italiani” dalla strage di Piazza Fontana, a Ustica, al “caso” Mattei, all’assassinio di Pier Paolo Pasolini.

    Era il due agosto del 1980 e la stazione di Bologna il solito crocevia per un’umanità assortita. Vacanzieri di passaggio, turisti in visita, studenti, massaie, pendolari, tassisti, ferrovieri.  L’esplosione di una bomba ad altissimo potenziale provocò un inaudita mattanza. Bologna stessa, da quel giorno, non fu più la stessa città della sana e allegra gioia di vivere tra osterie e canzoni. La ferita, sempre aperta, è un abisso senza fine. Ancora oggi ci si può guadare dentro senza vedere il fondo, oltre il buio di un dolore straziante.

    Oggi Bologna si fermerà per ricordare. Manifestazioni in ogni angolo della città. Ufficiali o spontanee. E sarà bello, seppure dolente, ritrovarsi alle ore 16,30 nel piccolo centro sportivo intitolato al campione del calcio Biavati, in via Shakespeare. Qui si giocherà la partita di pallone più tenera, belle ed evocativa di questa bollente estate. Un triangolare tra squadre di poliziotti, ferrovieri e rappresentanti del Comune. Nel nome delle vittime i cui nomi verranno elencati prima dell’inizio della gara. Sarebbe doveroso partecipare.

    Ricordo che quel giorno di trentasette anni fa venni inviato da Pier Cesare Baretti sul luogo del massacro per raccontare sulle pagine di “Tuttosport” in dramma di una città e di una nazione intera. Trovai, confusi tra la gente che rendeva omaggio ai caduti, Gigi Radice, Colomba e Dossena. Le anime di quel Bologna che, malgrado la penalizzazione per il calcio scommesse, sarebbe arrivato settimo in campionato. Erano scesi dal ritiro in montagna dopo aver saputo della tragedia. Avevano le lacrime agli occhi. Proprio come Sandro Pertini, il presidente, che il giorno dei funerali scoppiò in un pianto irrefrenabile. Fu l’unico politico  a ricevere gli applausi della folla. Gli altri dovettero fuggire, inseguiti dalla rabbia legittima di un popolo che avrebbe preteso giustizia. Inutilmente.
     

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