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  • Aridatece Benito Fornaciari! Albertone quanto ci manchi

    Aridatece Benito Fornaciari! Albertone quanto ci manchi

    • Marco Bernardini
    Sembra ieri, quel 24 febbraio di quattordici anni fa. Televisioni e radio aprivano i loro giornali con una notizia che faceva calare un velo di profonda tristezza nel popolo italiano. Il faccione furbo e sorridente di Alberto Sordi, da quel giorno, sarebbe diventato per almeno due generazioni di persone l’icona di un epoca non solo cinematografica. Il personaggio più popolare e tra i più amati dell’arte dello spettacolo aveva abbandonato per sempre la scena terrena lasciando nel suo pubblico e in chi gli aveva voluto bene un  senso di grande solitudine.

    Il giorno prima la Roma aveva perso a Udine per due reti a una. L’attore, cosciente fino alla fine, aveva commentato quella sconfitta sussurrando nel suo modo consueto: “’A li mortacci loro…”. Era un convinto e appassionato tifoso giallorosso, Albertone. La domenica successiva la Curva Sud, seguita da tutta la gente dell’Olimpico, aveva tributato una standing ovation maestosa all’amico scomparso. L’allora presidente Sensi aveva redatto personalmente il comunicato ufficiale di cordoglio e la squadra si era “sdebitata” battendo l’Empoli per tre a uno. Era la Roma di mister Capello, con Totti capitano, Montella bomber, Cassano già casinista e panchinaro mentre Batistuta era andato all'Inter dopo aver dato ciò che gli era rimasto alla fine dell’avventura esemplare in viola. Un campionato senza infamia e senza lode chiuso all’ottavo posto dai giallorossi con la Juventus che vinceva il suo ventisettesimo scudetto.

    Ma la scomparsa di un simile “campione” andava ben oltre le fazioni e le bandiere. Sordi era stato un fenomeno “trasversale” per il suo essere riuscito, come attore e come regista, a entrare nel cuore di quegli italiani “medi” che lui aveva raffigurato con maestria eccezionale non come “macchiette” ma per ciò che erano realmente anche se, talvolta, inconsapevolmente. Il comico, insomma, era in realtà ciascuno di noi. Portatore di difetti macroscopici e di qualità insospettate. La malinconia nascosta dalla risata, il dramma dietro il paradoosso, la tragedia mascherata da beffa surreale. Nessuno come Alberto Sordi riusciva a confezionare storie di tutti i giorni così potenti, irriverenti e divertenti.

    Fu anche il primo e l’unico ad affrontare il tema del calcio rendendolo cinematograficamente plausibile dopo innumerevoli tentativi operati da altri che non avevano premiato né il pallone e neppure l’arte del cinema. Il suo “Presidente del Borgorosso Football Club” è stato e rimarrà sempre un prezioso cameo per la storia della filmografia italiana e anche per la soddisfazione del pubblico tifoso. L’idea di far “recitare” persino Omar Sivori fu geniale esattamente come l’intera vicenda che ruota intorno alla figura di Benito Fornaciari, un signorotto di campagna il quale si trova improvvisamente a dover gestire una piccola società di calcio della quale, poco alla volta, si innamora perdutamente sino a compiere follie tipo quella di ingaggiare un allenatore che è la parodia di Helenio Herrera e a vendere tutto ciò che possiede pur di far vivere il Borgorosso. Un altro, incisivo e corrosivo, spaccato di un’Italia anche calcistica che non c’è più e che, diciamolo, ci manca tanto. Così come ci manca Albertone. E chissà mai che, in questi giorni, ai responsabili dei palinsesti televisivi non venga la sana idea di riproporre quel film del 1970 eppure sempre attuale. Diciamolo con Sordi e alla sua maniera: “Aridatece Benito Fornaciari”. Almeno ancora per una volta.

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