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  • Bucciantini: Allegri, mostra la tua Juve
Bucciantini: Allegri, mostra la tua Juve

Bucciantini: Allegri, mostra la tua Juve

L’equilibrio può abbellire un campionato che offre partite faticose, dove l’accento cade sull’agonismo, sull’intensità, sulla lotta. Poche volte emergono tecnica e velocità, i gol sono spremuti come frutti avvizziti: questo turno di metà settimana ci ha offerto 19 gol, pochi, ben 6 squadre sono rimaste a secco e altre 11 hanno segnato una sola rete. Solo Sassuolo, Fiorentina e Roma sono arrivate a marcature multiple. In generale, poco calcio fatto bene, poche trame eleganti e fluide. Il calendario fitto non può essere una scusante, non a novembre. E solitamente, la stanchezza allunga le squadre, favorendo le scorribande, gli spazi, le reti. La verità è che troppe squadre hanno atteggiamenti tattici bloccati, e i reparti d’attacco sono pieni di buona volontà, non di fuoriclasse. I due allenatori che dimostrano maggiore coraggio passano per imprudenti: Zeman, Sarri. Cagliari ed Empoli non hanno organici per premiare questa volontà, ma almeno hanno un’identità. Purtroppo per i toscani, l’idea di Sarri è appena megalomane e la squadra tende quasi sempre a flettere dopo il primo tempo: ai giocatori vengono chiesti pressing alto e contrattacchi di massa. Con il Sassuolo, nel momento buono l’Empoli prende due legni e lì finisce la benzina: poi, senza gambe, è dura. Il Cagliari di Zeman è invece celebrato per il suo equilibrio, così strano per le squadre del boemo. Siamo più favorevoli all’interpretazione cinica: con questi attaccanti e queste timidezze tattiche in circolazione, anche le squadre di Zeman possono difendersi: meglio così, almeno possiamo ricordare l’azione che porta al gol d’Ibarbo, dopo un disimpegno “ricercato”, la tenacia e il proposito di non sprecare quella palla, che poi viaggia sulla fascia sinistra, gli attaccanti che si muovono per creare spazi, il colombiano che s’infila (De Sciglio contempla). Pezzi di calcio.

Empoli e Cagliari: l’inizio è strano, ma meritevole. Il resto è noto: Juventus e Roma vivono nell’attico della Serie A: lassù, solo loro. Una bizzarra partita a Marassi allinea le due favorite. La Roma fa il suo con personalità e qui s’insiste: Destro deve giocare di più, anche assieme a Gervinho. Nei “turni” di lavoro proposti da Garcia, i due fanno parte di due terzetti diversi. Eppure sembrano poter fare bene e dividersi i compiti in modo schematico ma importante. Garcia ha calibrato l’uso dei giocatori d’attacco come fa un farmacista coi dosaggi. È un conto ideale e premiante, ma non deve umiliare le gerarchie che il campo rivela né evitare l’impopolarità. 

La Juventus invece non usa la panchina. Tevez va conservato: è indispensabile, è vero, ma un frettoloso logorio sarebbe drammatico e già il primo appannamento ha lasciato la squadra a bocca asciutta. Giovinco aspetta i suoi minuti, che farebbero bene a lui e all’altro, così da ripresentarlo pimpante. Per liberarsi del fantasma di Conte, Allegri deve osare. Finora, governa l’inerzia: scelta saggia, ma nessuno può rivaleggiare con Conte sul suo territorio. Dunque Allegri deve aggiungere qualcosa, perché qualcosa perderà e si è visto anche a Genova: una distrazione lì, un po’ meno fame là. E così una partita controllata meglio di quella della scorsa primavera, sullo stesso campo, è finita nel modo opposto. È tempo nuovo, serve una rinfrescata: contro un solo attaccante (Pinilla, poi Matri – visto che Bertolacci marcava Marchisio e raddoppiava su Vidal, e Perotti faceva il marcatore su Licthsteiner) è sembrato eccessivo l’impiego di tre difensori centrali. Infatti nel secondo tempo l’azione era governata in origine da Ogbonna e Chiellini, con le prevedibili conseguenze. La difesa a 3 è stata la chiave tattica di Conte, ma era indubbio che nel calcolo fosse decisiva la possibilità di proteggere Pirlo, che poteva così far respirare l’intelligenza del suo calcio. Le abitudini sono difficili da superare, specie se sono convalidate da tre scudetti in fila. Eppure la Juventus e Allegri necessitano di una “impressione di novità”, per non scadere nella stanca ripetizione. Altro esempio: oggi gli esterni corrono meno senza palla. Quel ruolo di ostinata incursione aveva esaltato Licthsteiner e Asamoah. Ma se la manovra avanza più lentamente, e i due sono chiamati ad un lavoro “palla al piede”, è un’altra storia. Fanno più fatica, lo svizzero rimedia perché è bravo nell’uno-due, nel proporre e chiudere triangoli. Il ghanese invece è del tutto anestetizzato: non è capace di iniziare l’azione da fermo, ha il passo rotondo del centrocampista, non lo scatto dell’ala. Certo, l’organico si è indurito su questi ruoli, attaccanti esterni non ce ne sono, ma Allegri deve avere coraggio e visione, e qualcosa per rischiare c’è: in certe partite bloccate, Morata può spaccare, trovare spazi, scompaginare le marcature meglio di Llorente. A Genova, tutto questo è stato evidente. Infine Pereyra: è un giocatore difficile da incastrare: anche a Udine faceva il 3-5-2 ma gli spazi per i contrattacchi erano enormi. Con la Juventus c’è meno campo aperto, e più necessità di fraseggio. Per collocarlo, Allegri deve inserirlo fra le linee, allungare la squadra, osare un tridente in ampiezza. 

L’impressione è che il tecnico sia troppo preoccupato. Anche l’insistenza con la quale ha maledetto il punto perso a Genova è sembrata prematura. La classifica si fa con i punti, certo, ma arrovellarsi troppo per un episodio così imponderabile è un segnale di debolezza diffuso al mondo. Questa preoccupazione gli impedisce slanci di coraggio. Tempo per azzardare qualcosa ce n’è poco, e va sfruttato. Beninteso, la Juventus può vincere anche ripetendosi ma l’adrenalina ereditata da Conte sta scemando, succede, e va rimpiazzata. Allegri ha talento, intelligenza, sensibilità per ripetere le vittorie ereditate, e arricchirle con soddisfazioni europee: scriverlo oggi è una scommessa che prendiamo volentieri (come le pernacchie, nel caso). 

Altre considerazioni: il campo di Marassi è osceno. Dispiace se una parte della colpa è per la recente alluvione, ma andrebbe garantito un livello minimo di decenza: la palla non riusciva a rotolare innocua per tre metri, senza rimbalzi sghembi. Infatti sia la Roma (con la Samp) che la Juventus non sono riuscite a segnare, ed è successo (a entrambe) solo a Marassi. Questo non scalfisce d’un fico secco i meriti di Samp (prima) e Genoa (poi). Due squadre che tra l’altro conoscono il campo, e se lo sono fatto alleato: il furore con il quale vanno a pressare i portatori è ripagato dall’impaccio che questi avversari trovano nel gestire la palla. 

La premessa dell’equilibrio ammanta anche la lotta per l’Europa, dal terzo posto in giù. L’ammasso è così caotico che sembra costruito ad arte. Sono somme di debolezze, c’è poco da girarci intorno. Il Napoli ha ancora i migliori argomenti, con un inventario di soluzioni offensive sconosciuto agli altri, e sembra piano piano trovare robustezza. Però spreca, e si trascina dietro gli affanni peggiori, che sono i rimpianti: sono tarli che consumano la classifica e le energie. Il Milan ha trovato continuità, ma ha un po’ smarrito la qualità. Comunque, è importante per Inzaghi mettere in fila molti risultati utili, e su quelli ricercare le trame ariose già viste. Le nostre perplessità su Torres restano intatte: il passaggio verticale di Montolivo può giovargli. Fino ad allora, meglio Menez. Intanto, El Shaarawy deve intestarsi qualche responsabilità maggiore: tocca anche a lui. I difetti sono noti: gli interni di centrocampo sono approssimativi nella manovra, però si sbattono per tenere le distanze giuste fra i reparti. I difensori sono migliori di quanto si racconti in giro, specie nei duelli.
La Lazio è mancata di classe a Verona. Trovato il vantaggio (trovato, più che cercato), doveva capitalizzare, ma la vaghezza di certi elementi della difesa è imbarazzante. Cavanda e Ciani non riescono a vivere un match intero senza sbavature, e quando sbagliano sono grossolani. Questa volta la Lazio paga il conto. Sono errori individuali, le quattro vittorie hanno fatto dimenticare in fretta (troppo) l’infortunio di Gentiletti, che sembrava aver aggiunto spessore al reparto. Però la struttura c’è, la tenuta anche, la capacità di arrivare in area avversaria anche in una serata opaca è confermata. La Lazio non sembra promettere un passo irresistibile ma lotterà, con le altre, con le sorprese, con le delusioni di ieri che adesso ritrovano fiato e speranze, come l’Inter e la Fiorentina, che troppi commenti hanno banalizzato: battere Sampdoria e Udinese non è semplice, questo diceva la classifica e il recente passato. Due vittorie meritate, Palacio impedisce ampiezza al risultato dell’Inter, sbagliando gol che solitamente segna d’inerzia: ma sta tornando in condizione, sta riuscendo nuovamente a smarcarsi, a trovare tiri, spazi, appoggi. Questa è la notizia che può cambiare la stagione di Mazzarri, anche se sono chiari i limiti di questa squadra e di questo tecnico.

La Fiorentina ha cambiato nuovamente modulo, è tornata al 3-5-2. Montella non crede ai numeri ma è indubbio che così può usare l’esterno di corsa a sinistra, e attaccare gli spazi con più continuità. Nel primo gol c’è la traccia di un destino migliore: Cudrado porta palla, Kurtic si muove dietro al difensore e detta un primo passaggio, il cross è dozzinale ma dall’altra parte dell’area è arrivato Pasqual che rigioca la palla al centro dove si è inserito Borja Valero, che confonde il portiere e agevola la rete di Babacar: cinque metri dietro, Ilicic era libero da marcature, pronto a sfruttare un passaggio arretrato in tutti e tre i momenti dell’azione. Finalmente. Attaccare gli spazi, correre senza palla, alleggerire le marcature su Cuadrado, addensare l’area per aiutare il giovanotto che fa il centravanti. Montella sta ricostruendo la Fiorentina nel solco del possesso palla e della personalità antica, ma con idee giocoforza rinnovate. Aspetta Marin per ridare aria agli schemi, e velocità e penetrazione all’attacco. Ma intanto ha trovato Babacar. Questo è un nome nuovo della Serie A, si farà posto con i gol, questa merce sempre più rara e preziosa.

Marco Bucciantini

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