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  • Bucciantini: Mancini, ti ricordi di Oscar?

    Bucciantini: Mancini, ti ricordi di Oscar?

    • Marco Bucciantini
    Nell’ultimo pezzo indicammo nel gioco d’attacco i difetti più evidenti delle milanesi. Una lacuna comune che aveva origini diverse, così come abbastanza differenti ci parevano (ci paiono) i rimedi, più rapidi per l’Inter, più faticosi per il Milan. Nei commenti i tifosi dell’Inter si erano indispettiti, equivocando forse le intenzioni: l’articolo “salvava” i tentativi di Mancini per arieggiare la squadra, non era una condanna a un lavoro troppo breve per essere sentenziato. Però è impossibile negare la difficoltà d’assemblaggio della linea d’attacco. E soprattutto la pena per farli muovere e lavorare insieme.
     
    Giusto ieri il tecnico si è lamentato di queste carenze “soggettive” dei suoi attaccanti. Per noi questo è il guaio dell’Inter: oltre a indicare le colpe, Mancini deve però costruire qualcosa, e scegliere di conseguenza. L’innesto di uomini di fascia capaci di aggredire l’area è il primo passo per modernizzare la squadra: sono arrivati. Un altro passo sarebbe quello di velocizzare l’uscita di palla dalla difesa (prima ancora del giro palla) e soprattutto tenere alta la squadra, dunque potendo contare su difensori veloci e con senso dell’anticipo e centrocampisti capaci di accorciare (con grande considerazione dei “momenti” senza palla del match): insomma, si capisce, la rivoluzione è all’inizio. L’Inter poteva viaggiare di conserva, raccogliere un piazzamento ambiguo come negli ultimi due campionati (reale per la rosa, ma inferiore ad attese, pressioni, ambizioni, blasone, storia). O poteva tentare di riguadagnare posizioni. Farlo con Mazzarri sarebbe costato meno: un attaccante d’appoggio, un incursore da grandi numeri. Ma la compatibilità ambientale era consumata. Cambiare era necessario più che giusto. Provarci con Mancini è più costoso, e non solo per le abitudini regali del tecnico. L’Inter aveva in rosa una schiera di esterni “tuttocampisti”, da 3-5-2, di buona corsa ma poco palleggio, tecnica, migliori nel sostegno che nel lavoro a inizio e fine campo. Mancini invece vuole le coppie, l’esterno basso e quello alto: soprattutto quest’ultimo non è un ruolo di “adattati”. Infatti sono arrivati giocatori forti, da squadre di rango. Adesso vanno messi in campo, vanno fatti lavorare con gli altri. Questo è il passo avanti: sono ali da 30 metri di campo, non da 60: non danno il meglio in transizione ma nello sfondamento continuo delle difese. Bisogna, in breve, accorciare in avanti la squadra. Bellissima prospettiva, ma i 3 centrocampisti migliori dell’Inter (Kovacic, Guarin, Hernanes) non hanno la mentalità per attaccare subito il pallone, e se lo fanno, non replicano in continuità lo sforzo (e fare un sistema di gioco significa organizzare tutta una squadra in un certo modo, non accettarne l’estemporaneità). Contro il Torino Guarin è piaciuto perché è stato continuo in questa pressione e anche nella volontà di manovra. Ma è una novità che attende conferme ed è soprattutto un lavoro di reparto, non singolo. Ora un allenatore c’è apposta per diffondere un’idea, convincere un gruppo e portarlo in una direzione. Ma se deve lottare contro le caratteristiche dei suoi, sarà tutto più lungo, più dilatato. 

    IL MIGLIOR MODO PER INSERIRE PODOLSKI E SHAQIRI? METTERE FUORI ICARDI - Altro problema: quei centrocampisti lavorano una grossa quantità di palloni, ma pochi transitano velocemente verso gli attaccanti. È un difetto dei portatori di palla dell’Inter – così poco “registi” - che deprimeva anche la manovra ai tempi di Mazzarri, ma può avere una sua utilità nel possesso del campo anche nella metà avversaria. Per mettere a profitto questo tipo di possesso palla servono attaccanti che sfuggano ai difensori, in anticipo, sui lati, in appoggio/sfogo a cotanto dimenarsi col pallone dei vari Kovacic e Guarin. L’Inter ha invece il centravanti più statico della Serie A. Icardi è un ragazzo che può imparare ancora tutto, anche perché per ora sa fare solo una cosa, ma è la più importante: sa segnare. E questo gli permetterà di incontrare la pazienza dei tifosi e dei tecnici, e avere tempo e modo di completarsi. Però adesso è un freno per una squadra ambiziosa. Toglie troppo agli altri, non fa faticare i difensori, che invece deve far lavorare in modo più ampio, aiutando così anche l’azione degli esterni, alleggerendo le loro marcature, avvicinandosi a loro per fraseggiare. Insomma, l’Inter deve fare più quantità in fondo al campo: dopo arriveranno anche le occasioni, e dopo i gol. È un paradosso, ma il modo migliore di inserire Podolski e Shaqiri potrebbe essere quello di togliere il centravanti, e mettere lì Palacio, e lasciarlo sbattersi come fa quando si sente forte. Lui potrebbe dare i tempi d’inserimento ai compagni, anche ai centrocampisti. Certo, rinunciare al goleador per una squadra che ha il tarlo dei pochi gol fatti può sembrare autolesionismo, eppure non è sempre tutto così automatico. A volte una rinuncia può rafforzare le alternative, può chiamare a un protagonismo più diffuso, può dare un guadagno netto anche al tabellino. 

    MANCINI, TI RICORDI DI OSCAR SCHMIDT? - Ci viene in mente un curioso paragone, del tutto azzardato ma come ogni esempio serve a rivelare meglio un concetto e così va preso: negli anni ’80 la squadra di basket di Caserta s’affermò al vertice del campionato. Molti piazzamenti vicini alla vetta, due finali perse, una – bellissima – anche in Coppa Korac contro il Real di Drazen Petrovic. Chi ha memoria di quei tempi, ricorderà che in quella squadra giocava Oscar Schmidt (foto roseto.com), uno dei maggiori realizzatori di questo sport: per capirsi, chiudeva le stagioni a 35 punti di media a partita! Spesso andava sopra i 50, insomma: dominava. È ancora oggi il secondo marcatore di tutti i tempi in Italia dietro ad Antonello Riva, che ha giocato centinaia di partite in più. Lui trascinò Caserta al vertice. Nel 1990 decisero di venderlo, e sembrava l’inizio del declino. Invece quell’anno Caserta vinse il suo unico, incredibile scudetto, in finale contro Milano. In sostanza, la parte di Oscar fu diffusa in tutto il quintetto, i punti del brasiliano li fecero un po’ Gentile, un po’ Esposito, un po’ Dell’Agnello e un po’ i due stranieri, Frank e Shackleford: le squadre vincenti hanno sempre una condivisione di responsabilità: le parti dominanti vanno calmierate e se questo è impossibile, vanno rimosse È chiaro che Icardi non è dominante, anzi, è rarefatto nel lavoro di squadra. Ma la sua presenza, anzi, la sua assenza dal lavoro d’attacco e la sua concentrazione solo sul gol sembra soffocare le capacità degli altri. E Icardi è diventata una “marcatura” troppo facile, scontata.

    LIBERARE L'AREA DI RIGORE - Liberare l’area di rigore: è un’idea curiosa che ci piacerebbe vedere in campo, un tentativo, chissà che Mancini non ci stia pensando. Potrebbe servire a trovare più velocità a tutta la fase di possesso palla. Oppure potrebbe solo deprimere Icardi (che comunque è un patrimonio dell’Inter): chissà, ma il senso della stagione nerazzurra potrebbe essere quello di capire qualcosa per il futuro: il terzo posto  impossbile.

    TRE APPUNTI SUL MILAN - Sul Milan, si fa in fretta: la linea della squadra è troppo distante dagli attaccanti. Che pure potrebbero giovare di queste distanze, essendo loro – invece, al contrario dei nerazzurri – dei bravissimi contropiedisti “lunghi”. Menez, El Shaarawy (buona fortuna, ragazzo), Cerci: gente che si esalta in campo lungo e aperto. Tre appunti: hanno bisogno di una mediana che riconquisti palla e se ne liberi subito, con un passaggio anche banale, verso la loro corsa (e magari accompagnare queste azioni). Invece il Milan fa una fatica tremenda a riguadagnare palla, spesso deve attendere il lavoro dei difensori centrali, a quel punto organizzare il contropiede è dura (infatti i migliori rilanci a inizio stagione li faceva Rami). Altro appunto: Montolivo è in difficoltà, più sotto ritmo del solito, sarebbe capace di innescare le ali, ma è ancora troppo ordinario e biascica troppo il pallone. Bonaventura è troppo distante dalla sua mattonella ideale, e in generale, loro due sono centrocampisti da palleggio a ridosso dell’area, dunque un po’ incongruenti con i tre attaccanti proposti. Ultimo appunto: il Milan (Inzaghi) dimentica di fare una cosa che è pane quotidiano di tutte le squadre che tengono sui lati i loro finalizzatori: non li muove mai, non li inverte. Assurdo. Perfino Bale e Ronaldo si scambiano posizione 5-6 volte a partita. Bisogna confondere le marcature, diversificare l’idea finale che questi calciatori possiedono: l’affondo sulla corsia naturale, la finta a rientrare sulla corsia opposta. Ogni tanto mettere Cerci a sinistra e El Shaarawy (adesso, forse, Bonaventura) di là, per pochi minuti, può sviluppare momenti diversi, mossi, nuovi impegnare i difensori a nuovi calcoli e nuove misure. Altrimenti sarà più semplice prendere le marcature per gli avversari: è una cosa banale che Inzaghi dimentica di fare, dimostrandosi eccessivamente preoccupato del suo destino, tanto da averne la testa ingombrata.

    Ps: La società ha battuto un colpo. Una società seria aveva il dovere di togliere Mexes dal campo, senza aspettare la sentenza. È un giocatore di utilità marginale e di dissennatezza da fuoriclasse. Non è stato convocato per la Coppa Italia, è un buon inizio.

     

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