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  • Da Lennon a Sacchi: quel male oscuro che attanaglia gli eroi del pallone
Da Lennon a Sacchi: quel male oscuro che attanaglia gli eroi del pallone

Da Lennon a Sacchi: quel male oscuro che attanaglia gli eroi del pallone

  • Fernando Pernambuco
C’è chi vorrebbe smettere, ma non ce la fa e chi non smetterebbe mai. Non parliamo di dipendenze o manie. Parliamo di calcio. C’è chi, come Totti, che a 40 anni suonati vorrebbe continuare a giocare e chi a 30 non ce la fa più, come Aaron Lennon, centrocampista dell’Everton.

Lo hanno trovato in stato confusionale,  mentre vagava nei pressi dell’ autostrada M602. Era in tuta, usciva e rientrava dalla sua autovettura e guardava fisso davanti a se’, impugnando il volante. Gli agenti che lo hanno preso in consegna, dopo un colloquio d’una ventina di minuti, hanno deciso di chiamare un medico. Finiti alcuni accertamenti, è stato deciso il suo ricovero in un centro psichiatrico.
 
Stress da calcio, questa la diagnosi. Pare che Lennon da qualche tempo ritenesse di non essere più all’ altezza, da quando prese parte all’ ultimo quarto d’ora nella partita contro il Middlesbrough dell’11 febbraio scorso. Un aspetto legato ad un male oscuro, spesso manifestatosi con attacchi di panico e ansia da prestazione, da cui non pochi  calciatori e allenatori sono stati investiti. Lo ha raccontato anche Buffon nella sua biografia “Numero1”: “Ricordo che mi dicevo: ‘Ma cosa me ne frega di essere Buffon?”

Il caso di Enke, fu diverso, almeno nell’origine. Il portiere tedesco  si suicidò, facendosi travolgere da un treno, alla fine del 2009. Qualche anno prima era morta la sua bambina e molti pensarono che questa fosse stata la causa di quella scelta estrema. In realtà Enke era in cura antidepressiva da parecchi anni prima, preda d’un’insicurezza che le competizioni esasperavano.
 
Fra gli allenatori, Sacchi, dovette lasciare perché la tensione era divenuta insopportabile: “Un tarlo, il tarlo del perfezionista, un vecchio compagno prima alleato  e poi nemico”. Tutto all’ opposto di Sarri, che abituato al lavoro del bancario, allenava per hobby e ancor oggi ringrazia perché viene lautamente pagato per quella che considera una passione. Guardiola per mollare un po’ s’è concesso un anno sabbatico e Luis Enrique ha annunciato il suo addio dal Barcellona, dicendo che “bisogna riflettere sul modo in cui viene vissuta la professione di allenatore, che ha pochissime ore di stacco”. Delio Rossi pagò lo stress in diretta rifilando un cazzotto a Ljajic, colpevole di averlo insultato.
 
L’insicurezza, la depressione, per gli eroi del pallone, sembra un tabù. Se ne parla poco e se ne viene a sapere solo dopo. Ma i calciatori, gli allenatori, sono eroi fragili, eroi spesso loro malgrado, esposti come tutti al vento del dolore e della paura. Appartengono, come disse Diomede nell’ “Iliade”, alla  “Stirpe delle foglie”. Anche loro cadono.
 

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