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  • Ecco perché Roma-Lazio è da scudetto

    Ecco perché Roma-Lazio è da scudetto

    • Matteo Quaglini
    Cos'è oggi, il Derby di Roma? Cominciamo da una domanda per cercare di spiegare la sottile novità, quasi impercettibile, che manifesta e traduce il primo Roma-Lazio della stagione. Un inizio alla rovescia perché se il Derby è una partita a sé come vuole la letteratura anche le regole d'ingaggio del suo racconto scritto sono particolari, improntate alla diversità. Ecco, la diversità e la modernità. Queste sono le due chiavi con le quali aprire la porta della casa del Derby eretico di Roma. Il Derby che ha sempre guardato più se stesso che il campionato, che ha sempre pensato che la vittoria in una singola partita valesse più dello scudetto, che si è quasi sempre, eccezioni storiche a parte, confinato dentro le vecchie mura aureliane della retorica, anche nel calcio, dell'impero romano.

    DESTINATI A DURARE - Oggi è diverso, finalmente. E il primo tratto, quello di questa diversità rivoluzionaria, per spiegarsi sta in un parallelo con i primi anni 2000, quelli di Roma e Lazio scudettate e piene zeppe di campioni. Quelle due squadre campioni nel periodo giubilare erano certamente e senza dubbio più forti delle Roma e Lazio di oggi. Ricche di campioni e fuoriclasse, allenate da due dei più forti allenatori dell'epoca come Capello ed Eriksson, capaci di esprime la loro forza tecnica con i loro mattatori più grandi: Batistuta, Totti, Cafu, Montella, Emerson per l'eresia romanista, e Nesta, Veron, Salas, Mancini per la nuova banda Fleming di chinagliesca memoria laziale, erano l'idea dalla nuova forza di una città. E si pensava durassero nel tempo. Invece sono stati degli instant-team capaci di realizzare un dream sì, ma non di durare.

    DERBY DA SCUDETTO - Ecco la diversità di oggi: meno forti Roma e Lazio di allora, hanno però una qualità media molto alta, un'idea di calcio moderna, uno sviluppo del gioco votato al gol, una continuità che le porterà lontano in questo campionato a cinque per lo scudetto. In sintesi estrema e in filosofia secca e quindi pratica sono migliori di quelle Roma e Lazio imperiali, non per la tecnica ma per l'organizzazione, non per il talento ma per l'idea, non per il carisma ma per il carattere. La somma di tutto questo è semplice: possono avere, oggi e negli anni a venire, un ruolo centrale e grande nel campionato ed eresia delle eresie, vincere lo scudetto. Entrambe.

    RADJA VS LUIS - L'altro tratto della diversità sta nei giocatori. Maturi, dopo anni di sogni utopici, per vincere quelli della Roma. Pirateschi, eretici, guerrieri per lottare e andare oltre l'ostacolo quelli della Lazio. Due esempi su tutti, Nainggolan e Luis Alberto. Sineddoche calcistiche del calcio romano, una parte per il tutto di Roma e Lazio. Esprimono meno di classe di quella che potevano dare Totti o Nedved (qui i ruoli non centrano, si parla di uomini squadra) ma sono come i due fuoriclasse del Derby che fu, i cardini del gioco, i trascinatori che portano oltre il confine del dubbio Roma e Lazio. Il loro tratto di gioco diverso racchiude la modernità di questo Derby non più solo romano ma aperto al campionato. Il belga con la sua forza nei quadricipidi, la capacità di rubare palla, il tiro forte e secco ha tolto alla Roma i ghirigori del suo gioco barocco. Lo spagnolo che si muove da Hidalgo alla ricerca dell'Eldorado ha dato alla Lazio lo stile europeo dei centrocampisti a tutto campo e, la classe della precisione del tocco. Sì, un tocco e la palla viaggia verso la vittoria. Questo lo sanno fare solo i grandi, nel calcio come nella vita, un tocco e tutto cambia. Non poteva che venire dalla Spagna, dove questo è centrale nella loro quotidianità. Alla sintesi anche qui: grandi giocatori moderni, essenziali, continui, in grado di condurre Roma e Lazio nel calcio moderno, quello della continuità fordiana e non delle partite singole e magiche.

    DIFRA VS INZA - L'ultimo punto che racconta diversità e modernità di un Derby nuovo in una città vecchia è il duo degli allenatori. Giovani, rampanti, ambiziosi ma anche umili, tatticamente preparati, misurati, coscienti di sé e di dove vogliono arrivare, rappresentano una novità assoluta per Roma. La grande ex-capitale del mondo antico, la città del potere temporale, il "locus politicus" per eccellenza, lo stato delle squadre che sognano la grandezza, ha sempre avuto bisogno dei Vate, dei generali al comando. E allora Herrera, Liedholm, Capello, Spalletti, Eriksson, Lorenzo, tutti "pizzaristi" con tratti diversi chiamati a esercitare il comando sulla città e i giocatori dalle tentazioni tentacolari. Oggi questa idea è cambiata soprattutto sulla sponda Roma, perché la Lazio ha storicamente ospitato anche filosofi grandi e pratici della panchina come Bernardini e Maestrelli. È una novità, ed è grande. Perché? Perché dà fiducia al nuovo, abbattendo la staticità. Perché toglie il concetto retorico dell'esperienza e dà apertura al talento. Perché lavora, anche qui su due personaggi, Di Francesco e Inzaghi che allenano per durare nel tempo, non per essere di passaggio.

    Un'idea culturale e sportiva della continuità. Il segno della modernità del nuovo Derby di Roma, controrivoluzionario ai suoi schemi, alle sue grandi tradizioni, ai suoi sogni di grandezza immediata. Il tempo, il tempo di resistere e durare, di non arrendersi e non sognare ma trasformare l'impossibile in possibile, è la vera chiave per capire questo Roma-Lazio. Due squadre che ci saranno negli anni a venire, da protagoniste. Non più sognatrici, ma senza arrendersi mai come fanno da sempre i grandi.

    @MQuaglini

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