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Gasperini: 'Più a suo agio una palma in Duomo che me all'Inter. Su Moratti...'

Gasperini: 'Più a suo agio una palma in Duomo che me all'Inter. Su Moratti...'

E' Gian Piero Gasperini il grande ex della sfida con l'Inter. Alla guida dell'Atalanta che sogna l'Europa, c'è proprio il tecnico che nel 2011 lasciò il Genoa per trasferirsi a Milano, dove, unico nella storia nerazzurra, non riuscì a vincere neanche una sola partita. Ora, con i suoi giovani, sfida il passato per prendersi l'Europa. Questa l'intervista rilasciata a la Gazzetta dello Sport: "Vendetta? Ma no. Chi è felice non cerca vendette. Io all’Atalanta sono felice. L'Inter fu un’esperienza durissima. Critiche offensive, violente. Fiorello era un mio idolo, negli sketch mi faceva passare per un mezzo intossicato che non conosceva Pazzini e non capiva niente. Quello che avevo fatto prima non contava più. Sembrava che fosse arrivato uno scemo. Non avevo mai fatto un’amichevole con la squadra al completo e mi concessero solo 3 partite di campionato. Tre. Ho dovuto ricostruire da capo la mia credibilità. Ci sono riuscito al Genoa che ho portato in Europa. Partita chiave con l’Inter, uno spareggio: gol decisivo di Kucka a 2’ dal termine. Meraviglioso".

Se domenica incrocia Moratti, glielo fa notare che il Barcellona mercoledì aveva la difesa a 3?

"Anche Conte in questi anni qualcosa ha vinto con la difesa a 3. L’ha usata Guardiola e ora perfino l’Inter. Allora era un tabù pazzesco, anche per il Milan. Squadre prigioniere della propria storia. Che delusione per l’idea che avevo di Milano, città dinamica, all’avanguardia. Il calcio è sempre studio, ricerca, dopo 5 anni il nuovo è già vecchio".

Più problema di uomini o di tempo? Alla lunga l’avrebbe convinto un Cambiasso a difendere attaccando e a non scappare sempre?

"No, perché serviva alle spalle una proprietà convinta delle mie idee e pronta a difenderle".

Con Percassi presidente ce l’avrebbe fatta?

"Sì, sarebbe stata un’altra storia".

Con Percassi magari sarebbero arrivati giovani da educare al nuovo e non Zarate e Forlan.

"So solo che quasi tutti quelli che avevo non hanno più fatto molto ad alto livello: Lucio, Chivu, Stankovic, Sneijder, Eto’o, Cambiasso...".

Vero che stavate trattando Vidal e Nainggolan che non fu considerato da Inter?

"Basta. Fermiamoci qua. Inutile entrare nelle pieghe. Conta l’idea generale: ho sbagliato io ad andare in una società che non mi ha voluto con forza, che non mi considerava e che di conseguenza non poteva proteggermi. E’ un errore che non rifarò mai più. Io e l’Inter non c’entravamo nulla. Eravamo due filosofie agli antipodi".

Contro il Trabzonspor, poco prima dell’esonero, lei abiurò: difesa a 4 e rombo.

"Per la prima e ultima volta in vita mia rinunciai alle mie idee. Sbagliai. Ci ho ripensato quando a inizio stagione, nel momento più critico, contro il Napoli, ho puntato sui giovani e sulle mie idee. Se devo morire, muoio con coerenza. Si può anche dire che quest’Atalanta è nata anche grazie all’esperienza negativa all’Inter. Tutto serve".

Quando si è accorto che Gagliardini aveva qualcosa di speciale?

"Quand’era al Cesena. Conservo ancora una relazione su di lui. Lo volevo al Genoa. Fisicità e tecnica: non potevi non notarlo. Ma faceva una fase sola, non difendeva, si compiaceva un po’ troppo da trequartista. Ma quest’estate ho imposto il veto: non parte, anche se abbiamo tanti centrocampisti. Ci lavoro. A Cagliari, sotto di 3 gol, dopo il primo tempo peggiore della stagione, entrò e fece bene. Capii che era pronto".

Che duello sarà con Kessie?

"Un gran duello. Caricherò Frank dicendogli: Milano è tappezzata dai cartelloni di Gagliardini, se tu vai in Duomo non ti riconoscono neppure. Ma glielo dirò solo alla vigilia, se lo carico troppo in anticipo è un rischio con la forza che ha... Mi dicono che quando passa dai corridoi di Zingonia e vuole salutare qualcuno oltre la vetrata dell’ufficio, appoggia la fronte sul vetro e trema il palazzo". .

Se Kondogbia vale 40 milioni, Kessie?

"Non lo so. Ma come valore di campo Franck non è inferiore. Non li scambio alla pari".

Nel complesso però l’Inter è più potente. Teme che possa finire come con la Juve allo Stadium?

"Dopo quella partita siamo cresciuti. Siamo tornati allo Stadium in Coppa Italia e abbiamo fatto bene. Abbiamo battuto il Napoli al San Paolo. Stiamo seguendo un percorso di maturazione. Di sicuro San Siro sarà un altro esame".

Soprattutto per Conti e Spinazzola, contro esterni come Perisic e Candreva.

"Hanno superato quello con Callejon, Mertens e Insigne che non era da meno".

Pioli ha perso una partita dopo mille vinte ed è finito nel frullatore. Si rivede in lui?

"No. Mondi diversi. La sua Inter sta crescendo, la mia era al tramonto. Pioli non merita etichette riduttive. Non è un allenatore da grande squadra? Quale grande allenatore lo era fin dall’inizio? Stefano ha fatto sempre bene e sta seguendo un percorso di crescita. Mi aspetto che resti".

Cos’ha in più l’Inter?

"La qualità nel tiro decisivo. Icardi, Perisic, Candreva, Joao Mario, Banega è gente che quando arriva in zona ha la stoccata per fare gol. Perfino Gaglia ora... A noi quella qualità manca. Ma siamo pronti per una grande partita. Non arriviamo a fari spenti. Ci aspettano. Non è più il solito Inter-Atalanta del passato, grande contro piccola. Questa è una storia nuova".

Perché il bravo Petagna segna poco?

"Perché gli manca l’automatismo del tiro che ha, per esempio, Mertens. Arriva la palla e pum: tiro secco, perfetto, in una frazione di secondo, senza pensare a come mettere il piede, la caviglia, il corpo... Coordinazione e impatto vengono naturali, è una reazione memorizzata: i grandi attaccanti sono così. Se lo sport si chiama calcio, devi saper calciare".

Come può aiutare Petagna?

"Inventando una gabbia che tenga sempre il pallone in gioco e lo costringa a calciare a ripetizione. La ripetitività è il vero segreto della tecnica. Guardate il golf. Non colpisci la pallina al primo colpo? Provi e riprovi e poi ti viene naturale. Un tempo gli attaccanti in allenamento calciavano mille volte in porta, ora meno. La gabbia per Petagna è quasi pronta. La sto mettendo a punto, è diversa dalle altre. Il bello di allenare è anche questo: studiare cose nuove per aiutare i tuoi ragazzi a migliorarsi".

Serve anche una gabbia per trattenere il Papu?

"Se andiamo in Europa sarà più facile che resti. Ma non è detto che non resti lo stesso. Il Papu è profondamente immerso nel progetto Atalanta e nella città. Non è mai andato in doppia cifra, qui è arrivato a 9. Comincia ad avvertire la pressione, ma non deve farsi condizionare. Se mi fa due assist, va benissimo lo stesso".

Uno glielo ha già fatto. Ha detto che in caso di Europa servono 8-9 acquisti.

"Credo che sia giusto congelare il discorso sul futuro".

Precisi o Bergamo trema.

"Certo. Abbiamo già cominciato a parlare di rinnovo. Da una parte c’è stima e fiducia, dall’altra gratitudine. Dopo l’esperienza all’Inter, la mia prima regola è: vado solo dove sto bene e dove sono considerato. Non so se esiste un altro posto dove posso star bene ed essere considerato come all’Atalanta. Quindi le basi per proseguire sono solide".

Però?

"Però è giusto ragionare a freddo, davanti ai programmi per il futuro, alla fine di questa stagione. Senza badare solo ai sentimenti, sapendo che una stagione come questa è difficilmente ripetibile. L’esempio di Ranieri al Leicester insegna".

Il presidente Percassi, tramite la Gazzetta, le ha promesso in dono un giocatore già affermato. Non solo giovani.

"Un Papu per reparto non sarebbe male... Dopo questa stagione, è giusto che l’Atalanta alzi il tiro delle ambizioni e il profilo degli acquisti. L’Atalanta deve scattare in una fascia superiore, posizionarsi in una zona media-alta, nella prossima stagione non si dovrà più parlare di salvezza. Questa stagione non deve restare un episodio isolato da ricordare, ma il primo passo in un percorso di crescita di tutto il club".

Fermo restando la vocazione per il vivaio, immaginiamo.

"Certo. L’orgoglio dell’Atalanta resterà la formazione di tanti talenti legati al territorio e i ricavi dalla loro valorizzazione una fonte fondamentale di autofinanziamento. Bello avere un domani la Tribuna Kessie, la Gradinata Gagliardini, il Convitto Caldara... Giusto investire nelle strutture di Zingonia che tutti ci invidiano. Ma si deve investire anche in giocatori. Il valore tecnico della squadra deve crescere in armonia con tutto il resto".

Parola di ex promotore finanziario, uno che se ne intende in investimenti per il futuro. Ne parliamo?

"Finito di giocare, metà Anni 90, lavoravo per una società di intermediazione mobiliare di Milano. Gestivo anche investimenti di ex compagni di squadra. Mi piacevano la finanza e la Borsa. Pensavo che sarebbe diventato il mio primo lavoro, ma poi ho cominciato a soffrire lo stress da indice Mib, lo sognavo di notte... Un conto è rischiare e perdere soldi tuoi, un conto quelli degli altri. E soprattutto è tornato potente il richiamo del calcio, così ho scelto di allenare".

Dov’era il suo ufficio?

"Curiosamente vicino alla sede attuale dell’Inter, tra Duomo e San Babila. Prendevo il treno a Torino, arrivavo in Centrale, poi in metropolitana raggiungevo l’ufficio".

Gasperini, più a suo agio una palma in piazza Duomo o lei all’Inter?

"La palma. Io all’Inter non c’entravo niente".

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