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  • Il nostro calcio specchio di un’Italia che in Europa deve chinare la testa

    Il nostro calcio specchio di un’Italia che in Europa deve chinare la testa

    • Marco Bernardini
    Ogni anno, da qualche tempo, è più o meno e sempre la stessa solfa. La vigilia ci sorprende belli e pimpanti a dire che questa sarà la volta buona e che finalmente siamo calcisticamente attrezzati per fargliela vedere a tutti. Poi, pronti via, la baldanza annega nel mare della delusione e sul fondo del barile resta soltanto tanta rabbia. Un sentimento, quest’ultimo, che riflettendo con serenità e con obiettività risulta essere immotivato. 

    Esistono infatti precise ragioni che possono spiegare i travasi di bile che abbiamo dovuto provare, per esempio, nel vedere la Juventus che crolla a Barcellona o la Roma che non riesce a sciogliere il nodo madrileno stretto dal Cholo Simeone e addirittura porta a casa la pelle grazie al suo bravissimo portiere. Il tutto a fare da seguito alle ultime e quasi indecenti prestazioni della Nazionale di Ventura. Fatalità e jella? Macchè, tutto nella norma e soprattutto in linea con il momento storico che stiamo vivendo dentro e fuori dagli stadi.

    Il “gioco” del calcio, ovvero il movimento aziendale che lo fa muovere, è lo specchio fedele anche nei particolari del Paese in cui viene prodotto. Esattamente come qualsiasi altra attività creativa, industriale, artistica, sociale, culturale e politica è in grado di offrire i frutti che l’albero-padre genera. Ebbene, sotto questo aspetto nessuno può negare che l’Italia stia attraversando un momento di impasse piuttosto imbarazzante e problematico

    Rispetto a quella che dovrebbe essere l’Unione Europea, ma che di fatto è un autentico puzzle di diseguaglianza e di potere, il nostro Paese ha ampiamente dimostrato di rappresentare quello che si definisce un fanalino di coda. Al pari della Grecia, che comunque dà segni di rinascita seppure lievi, l’Italia nei confronti di Francia, Germania, Inghilterra, Spagna e persino Portogallo offre l’immagine di un sito archeologico certamente rappresentativo per la Storia, ma quanto mai fragile per l’attualità.

    Una nazione, la nostra, guidata (si fa per dire) da un plotone di “capitan Schettino” tanto parolai e rocamboleschi al limite della comicità quanto inconsistenti sul piano del carisma politico e specialmente su quello internazionale. Litigiosi e cafoni tra loro, timidi e passivi a Bruxelles. Un dato verificabile osservando l’intero panorama, da destra fino a sinistra e passando per il centro. Tant’è riusciamo a farci prendere per i fondelli persino dall’Egitto sul “caso” del povero Regeni. Non solo, per tamponare in qualche modo, la falla dell’immigrazione scendiamo a patti (segreti e secretati) con uno dei due sedicenti governi libici nella speranza che i fanatici assassini islamici continuino a ignorarci.

    Un Paese, il nostro, che non riesce a “reggere” l’impatto con quelle “bombe d’acqua” che, paragonate alla furia di Irma, rappresentano una sottile pioggerellina di fine estate. E per questo si muore, come a Livorno. Un’Italia che, poco alla volta, si sta facendo scippare dai vicini di casa o dai “pirati” di Oriente le proprie eccellenze produttive industriali oltre alle giovani menti che dovrebbero garantire un futuro migliore. Il “made in Italy” più suggestivo viene elogiato oggi dal New York Time per la “fiera della porchetta” in un locale di Manhattan.

    Questa, ormai da troppi anni, è la cartolina con l’immagine dell’Italia che possiamo spedire in giro per il mondo nel nome di un Unione Europea inesistente che ci vede nel ruolo imbarazzante di servi sciocchi e al momento impotenti. Il calcio, figlio e prodotto di questo aborto politico ed economico e sociale, non può fare altro che suonarsela e cantarsela da solo nel proprio cortile di casa. Poi, quando si tratta di andare a spasso per l’Europa, deve fatalmente abbassare la testa.

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