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  • Juve-Roma: governativi vs rivoluzionari
Juve-Roma: governativi vs rivoluzionari

Juve-Roma: governativi vs rivoluzionari

  • Matteo Quaglini
Tutto cominciò nel 1979. La Juventus, la vincente per antonomasia, aveva lasciato lo scudetto al Milan e a Liedholm, personaggio anarchico che da lì costruirà il tentativo rivoluzionario di sovvertire le gerarchie, nell’epica degli anni ’80. Nonostante quella sconfitta la Juventus era la più forte, la squadra dei primati, del primo alloro europeo e l’ossatura della nazionale. In quell’anno saliva alla presidenza della Roma Dino Viola il rivoluzionario. Nacque così da lontano e fulminea la sfida tra governativi e rivoluzionari, che il campionato ha tradotto in Juventus-Roma. 

Tutto ruota intorno alla parola rivoluzione e al significato che i tratti delle squadre disegnano per lei. A loro modo anche Juventus-Inter e Juventus-Milan sono partite tra governativi e rivoluzionari; una fa da sempre la rivoluzione del talento anarchico da Herrera a Mourinho, l’altra con Berlusconi ha fatto quella della visione immaginifica e realizzata della conquista del mondo. La rivoluzione di Dino Viola fu quella dell’illuminismo della mente, della possibilità vera e non più utopica per la Roma di vincere. 

Quando nel calcio nasce una rivalità con il più forte e si parte da una posizione piccola e anonima imitare è la via per autodistruggersi. Ci vuole allora un’identità diversa, un concetto alieno all’ordinarietà del campionato, un modo di pensare lungimirante, una tensione tra sogno e ragionamento. La Roma di Viola fu questo ed è per questi tratti che assunse il ruolo complesso e controverso ma anche suggestivo di rivoluzionaria. 

La Juventus era la pragmatica del calcio, la grande pragmatica della vittoria, quel tratto che giorni fa il presidente Andrea Agnelli ha ancora una volta messo a pilastro della centenaria e gloriosa storia juventina parlando del binomio testa-vittoria ma intendendo se spostiamo i termini e traduciamo il suo sottile linguaggio, mentalità vincente. Il fulcro di ogni rivoluzione, l’idea di andare oltre i propri limiti. 

La Roma di Viola che guardava a questo carattere del modello juventino cercò la vittoria dapprima con una rivoluzione interna costruita su di un cambiamento delle abitudini della sconfitta e sull’abbandono dei vittimismi anche e soprattutto negli episodi controversi del campionato che nella complessa personalità di Viola non mortificavano, ma certificavano la sua idea di rivoluzione illuminista: quella che univa sogno a ragione proprio come nella Francia dei Voltaire e Saint-Just. 

La Roma rivoluzionaria romantica ha vinto poco rispetto alla Juventus governativa pragmatica ma al fondo anch’essa romantica dal cuore mitigato in pietra. Questo conferma che l’animo rivoluzionario c’è stato nella gestione societaria di una squadra e in un ambiente complesso, e c’è stato nella tattica sacrilega di Liedholm, il primo a giocare compiutamente a zona nel campionato della marcatura a uomo. 

Le polemiche che ne seguirono e il rinnegare le innovazioni del gioco della Roma certificandone così la diversità non fu altro che la conferma della presenza di rivoluzionari al tavolo dello scudetto e al tempo stesso costituì una consacrazione del ruolo centrale dei governativi nel grande teatro del campionato. Le diversità sono la forza di questa rivalità: sogno contro pragmatica, rivoluzione contro organizzazione ineccepibile. 

Dopo dieci anni la rivoluzione sopita e incompiuta tornò con Sensi. Una nuova sfida per la Juventus sempre vincente e più dura di quella bonipertiana di Umberto Agnelli e di Lippi. Questa fase della rivoluzione fu nel tratto dell’opposizione e della contestazione: meno illuminismo e più cuore semplice. Sia Viola sia Sensi hanno vinto uno scudetto contro la grande Juventus, il che è tanto e poco. Ed è il poco a spiegare come la rivoluzione sia ancora in atto, in movimento come nel suo significato altro. 

Questa incompiutezza sottolinea l’oggi, i giorni nostri di Juventus-Roma. Gli anni dello Juventus-Roma controrivoluzionario. Da una parte la Roma che ha raggiunto la competitività ma non ancora la vittoria, perché la vittoria è nella continuità dei titoli. Una società che dal 2006 ha avviato politiche diplomatiche con la Juventus che oggi si manifestano in lega nell’opposizione a Tavecchio e agli oscurantismi di Lotito. Un po’ più di politica ma l’anima rivoluzionaria è rimasta nel tifo e nella squadra. La stessa squadra che stasera affronterà la rivale governativa anch’essa – analizzando la letteratura degli juventinologi – dentro una controrivoluzione. Quella della gestione di Andrea Agnelli strutturata nel bilancio e con l’ambizione di primeggiare in Europa. 

L’oggi controrivoluzionario potrebbe sembrare grigio rispetto alla storia di una rivalità epica, invece lo Juventus-Roma contemporaneo conferma i ruoli e li legittima dandogli valore. La Juventus insegue sempre e solo la vittoria, la Roma il sogno di compiere la sua rivoluzione diventando vincente. La realizzazione di una rivoluzione si ha con una vittoria sui più forti; quello è anche l’atto in cui la rivoluzione compiuta finisce e diventa governo. Ci vuole una conquista, la presa della Bastiglia. La Roma tenterà stasera nel tempio imbattuto della Juventus di accelerare il suo passaggio verso la vittoria contro il rivale più forte e più grande, se diventasse governativa non le dispiacerebbe. 
 

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