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  • La Juve o si ama o si odia: sempre più tifosi, ma in tanti la abbandonano

    La Juve o si ama o si odia: sempre più tifosi, ma in tanti la abbandonano

    • Antonio Martines

    Essere ovunque ma non appartenere a nessun luogo. Bisogna partire da questa considerazione per capire veramente che cosa significhi essere Juventino.

    Chi tifa Juve è un esule che vaga
    in un mondo – quello del calcio – dove l'appartenenza territoriale, i colori e il legame con la propria città vogliono dire molto se non tutto. La Juventus e gli Juventini fanno a meno di tutto ciò. Tifano per una squadra con un nome di derivazione latina che gioca in una città: Torino, nella quale si dice che non siano mai stati maggioranza e, se anche lo fossero, si tratta di una maggioranza decisamente silenziosa rispetto alla controparte dei cugini granata. La Juve gioca con una maglia fatta di bianco e di nero ovvero senza colori, perché nella fisica il bianco è la somma di essi, mentre il nero ne è l'assenza totale. Lo Yang (il bianco) e lo Yin (Il nero), due elementi che nella cultura orientale rappresentano il giorno e la notte, il bene e il male, il caldo e il freddo, il sud e il nord, il sole e la luna e tanti altri archetipi in contrasto ma allo stesso tempo anche in simbiosi. Una squadra che si nutre quindi non di territorialità ma piuttosto di vera e propria metafisica. O la ami o la odi, ma di essa non se ne può fare a meno, nel bene e nel male. Con la Juve siamo di fronte a qualcosa che racchiude in sé i tratti dell'universalità, del resto questo lo disse anche il grande Giovanni Arpino.


    Lo juventino è quindi un esule universale, sceglie la Vecchia Signora per induzione, ci casca dentro inesorabilmente, per una sorta di vera e propria attrazione gravitazionale e, sono ormai 14 milioni gli italiani catturati nell'orbita della Juve. Anno dopo anno, la cifra aumenta perché ogni scudetto cattura i piccoli cuori delle nuovi generazioni.

    La Juve è la squadra nazionalpopolare per eccellenza, forse perché da sempre è stata uno dei pochissimi elementi che ha contribuito ad unirci, un po' come la RAI e la Nazionale. La Juve è un linguaggio, un sentire comune che ha unito generazioni e strati sociali diversissimi tra di loro, è stato un potente elemento pacificatore nella Torino del dopoguerra, quando dal sud arrivavano migliaia di meridionali – spesso mal visti e sopportati – che si integrarono sotto la mole proprio grazie ad una squadra composta anche da campioni di quelle terre, come Furino, Causio e Anastasi.

    La Juventus quindi come strumento di potere – e che potere – che secondo i maligni soggiogava le masse, le quali senza quel meraviglioso giocattolo, probabilmente la FIAT l'avrebbero fatta saltare a gambe all'aria. I tifosi della Vecchia Signora poi non possono certo lamentarsi, visto che in ogni decennio della loro storia sportiva non sono mai rimasti a bocca asciutta e hanno sempre potuto ammirare campioni inarrivabili. 

    Ma c'è un ma... e quel ma è uno strano fenomeno che sembra interessare solo ed esclusivamente la Juve, ovvero quello degli ex tifosi, una sorta di vera e propria secolarizzazione, che ha interessato juventini di tutte le età e generazioni. Le ragioni sono tante, alcuni sono diventati ex juventini a causa dell'Heysel, una tragedia cosi forte e oscena che segnò l'animo di tantissimi, soprattutto a causa di quella coppa insanguinata che venne consegnata quasi a forma di risarcimento. Poi c'è Calciopoli: una sciagura sportiva di cui non si è ancora capita la reale portata storica, visto che forse è costata la morte definitiva del calcio italiano. In quell'occasione la tifoseria juventina attraversò una crisi dalla quale uscì con delle cicatrici indelebili soprattutto a livello psicologico. Sono gli anni in cui lo juventino o si trasforma in ateo del tifo oppure si radicalizza e da juventino si tramuta in juventista, soprattutto a causa della sindrome di accerchiamento che si viene a creare in quel particolare momento storico. Quelli che smettono di credere, lo fanno perché delusi dal comportamento ambiguo della società e dalla decisione di non difendersi – accontentandosi della retrocessione in serie B - per poi però tornare a reclamare quei due maledetti scudetti revocati. O sei innocente o non lo sei, e questo a molti tifosi bianconeri non è mai andato giù.

    In quel periodo lo juventino soffre come non mai, non tanto per la mancanza di vittorie, quanto per la violenza e l'odio viscerale che lo circondano. Lo juventino soffre perché vede la sua amata creatura a terra, agonizzante, sull'orlo della morte con in più i tifosi avversari che si accaniscono su quel corpo inerte e morente. Ma alla fine la Juve risorge ancora una volta e trova una nuova pietra miliare nella costruzione dello Stadium, che diventa la roccaforte inviolabile di un nuovo tifo, finalmente passionale e identitario come non accadeva dal lontano 1990, anno in cui si abbandonò il vecchio Comunale per il desolante Delle Alpi. Oggi la Vecchia Signora ha ripreso a fare nel migliore dei modi quello che ha sempre saputo fare, ovvero collezionare scudetti. Eppure quella strana forma di secolarizzazione prosegue inesorabile e quella piccola percentuale di juventini non praticanti aumenta sempre di più, forse perché si sono persi personaggi come l'Avvocato o forse perchè si pensa troppo agli affari e poco agli affetti, forse perché fa male sentire che la Juve sarebbe disposta ad abbandonare il campionato italiano pur di inseguire ancora più soldi in competizioni alla Bernie Ecclestone, forse perché lo Stadium sarà anche bello e funzionale ma  quando non trovi mai i biglietti lo stramaledici o forse semplicemente perché vincere sempre alla lunga stanca... ma tranquilli la Juve resta sempre la Juve con buona pace di chi la odia o non ci crede più, rimane sempre la Chiesa del nostro calcio.

    @Dragomironero


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