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  • La LiGay si prende la scena in Brasile e invita altri paesi a fare outing

    La LiGay si prende la scena in Brasile e invita altri paesi a fare outing

    • Stefano Benzi
    "Siamo il paese leader, siamo la nazione del futebol bailado, siamo il paese che prima di ogni altro ha abbattuto qualsiasi barriera sociale e razziale: se c'è un paese che doveva prendersi questa responsabilità questo paese è il Brasile". L'argomento è molto serio e mai come quest'anno è stato seguito attentamente dai media brasiliani perché a sostegno dell'iniziativa è arrivata persino la CFB, la Confereraçao Brasileira do Futebol, che fino a qualche tempo fa aveva considerato l'iniziativa interessante, naif… ma da non integrare nel proprio calendario agonistico. Parliamo della LiGay, il primo campionato semiprofessionistico di calcio riservato agli omosessuali e di Gustavo Mendes, il capitano del Bharbixas, supersquadra di Belo Horizonte che ha vinto il torneo. 

    Il campionato di calcio gay brasiliano esiste da diversi anni, ma solo nelle ultime due stagioni il business è diventato serio: distribuzione televisiva, sponsor e una visibilità notevolissima che è arrivata all'estero. Al punto che negli Stati Uniti pare stia per nascere un'iniziativa simile che presto potrebbe arrivare anche in Inghilterra e nei paesi scandinavi, i cui leader dei movimenti sportivi omosessuali sono stati invitati in Brasile per verificare il grande sviluppo dell'iniziativa. I primi tornei della LiGay duravano due giorni, al massimo tre: stavolta le squadre sono state otto, provenienti da tutto il paese e il torneo è diventato un vero campionato che si è tenuto sui campi di Barra de Tijuca, messi a disposizione dal Flamengo e da altre squadre di Rio. La finale si è svolta davanti a quasi cinquemila tifosi e ha visto la squadra di Gustavo Mendes battere ai calci di rigore i BeesCats. 

    La partecipazione al torneo ha poche regole, l'apertura è massima, ma è fondamentale avere fatto outing: "Vogliamo che giochino persone che siano consapevoli e felici della propria vita sessuale – spiega Mendes –, non è più il tempo di nascondersi o di girarsi dall'altra parte se c'è una telecamera o una macchina fotografica. Questo torneo nasce per tutti i gay che siano consapevoli di essere gay e non ne vogliano fare mistero". 

    La LiGay è la base della nazionale brasiliana omosessuale perché… sì: esiste anche un campionato del mondo di calcio riservato ai giocatori gay. Anche se il mondo del calcio non ne ha mai parlato considerando la cosa scomoda, un parente non adeguato da lasciare fuori dal salotto. D'altronde noi dovremmo saperlo bene dopo le orrende battute del finalmente ex presidente della Federcalcio su omosessuali, calcio femminile e disabili. 
    Ma nemmeno in Brasile i giocatori gay non hanno vita facile: Gustavo era un buon professionista prima di fare outing. Da quel momento la sua carriera di calciatore è finita. Eppure secondo dati ufficiali fino ai 22 anni esiste una percentuale di giocatori gay del 5% all'interno dei campionati ufficiali: ma l'81% di loro non si dichiara. 

    L'omofobia resta un problema molto serio: "Abbiamo dati preoccupanti già dai campionati giovanili – spiega Mendes che è diventato un portavoce e un simbolo per tutto il movimento –. Il 27% dei ragazzi under 18 vengono esclusi, il 44% di quelli che restano lasciano entro i 21 anni adducendo motivi di carattere personale". In Brasile la stragrande maggioranza dei giovanissimi gay che tentano una carriera calcistica sono vittime di bullismo: è paradossale che la maggioranza di loro trovi soddisfazione e giochi in un campionato riconosciuto solo dopo aver fatto outing. 

    La LiGay è un motivo di rivendicazione fortissimo che, con molta fatica ed enormi pregiudizi, sta cercando di scalfire la superificie di un movimento immenso: "La nostra è una minoranza come un'altra che subisce una forma di razzismo come un'altra. Guardate i film che raccontano l'esperienza dei primi giocatori di colore nel campionato baseball (il riferimento è a 42, splendido film con Harrison Ford sulla vita di Jackie Robinson, il primo giocatore nero a giocare in MLB nel 1945 con la maglia dei Brooklyn Dodgers, n.d.a.) e vedrete molte similitudini rispetto a quello che siamo costretti a subire oggi. Tutti fanno un gran parlare di integrazione, di rispetto delle minoranze e di tutela delle comunità omosessuali. Ma la verità è che le istituzioni sono ancora ferne alla preistoria, mentre noi siamo già nel futuro. Presto la LiGay diventerà un prodotto internazionale e sarà imitato in molti altri paesi: ma il vero obiettivo lo raggiungeremo quando i gay giocheranno liberamente nei campionati professionistici con gli stessi diritti e doveri di qualsiasi altro giocatore". 

    La sensazione che il campionato gay brasiliano sia un fenomeno di costume rilevante, ma destinato a essere isolato è reale. Tuttavia esistono precedenti interessanti: il campionato GLT (Gay Lesbo Trans) di pallavolo per esempio… Esiste da anni e pochi lo sanno, ma è stato ospitato anche nel nostro paese, a Milano, nel 2002: arrivarono squadre da tutto il mondo: dagli States, dal conservativo Giappone, dalla quadratissima Svizzera (si chiamavano Bernadettes perché erano tutti di Berna ed erano sponsorizzati dalla Swatch con una divisa da favola!) e ovviamente dal Brasile la cui squadra trans dominò per ovvi vantaggi fisici il torneo. 
    Che dire… il dibattito è aperto: e poi, è davvero necessario discuterne? Forse, se certe cose il mondo del calcio non è davvero in grado di darle per scontate. 
     

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