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  • Nainggolan come Matthaus, non è una bestemmia: manca solo lo scudetto

    Nainggolan come Matthaus, non è una bestemmia: manca solo lo scudetto

    • Matteo Quaglini
    L’hanno paragonato a Lothar. Sembra l’inizio di una storia medievale, il racconto della vita di un cavaliere delle grandi orde germaniche, il ramingo che lotta scendendo a valle sempre con un nuovo avversario. E invece, pur nella suggestione di queste figure storico-letterarie che a ben vedere lo raccontano, è una similitudine calcistica. A Giuseppe Giannini, centrocampista della Roma anni ’80 e ’90 e della nazionale di Azeglio Vicini, Radja Nainggolan ricorda Lothar, Lothar Matthaus. Eccolo dunque l’ennesimo paragone inopportuno si dirà. Inopportuno perché ciascuno di noi è al massimo se stesso più che un altro, inopportuno perché il calcio di oggi e quello di trent’anni fa in cui il grande dieci tedesco imperava assieme ad altri campionissimi, sono diversi per tecnica e velocità. Inopportuno anche perché uno ha vinto e l’altro ancora insegue il primo grande trionfo.

    Eppure. Eppure qualcosa di vicino c’è tra Radja e Lothar. Il paragone per certi lati tecnici e caratteriali regge e se facciamo uso d’immaginazione sembra di vederli giocare l’uno nell’altro. Lothar Matthaus era più forte tecnicamente di Radja Nainggolan non c’è dubbio. Ma le differenze li avvicinano e, non c’è dubbio nemmeno su questo. Entrambi fortissimi sulle gambe con quadricipiti possenti, hanno arato e arano il campo come dicono gli spagnoli quando dagli spalti spingono l’azione offensiva dei loro dioscuri, con la forza di quelli che sanno andare oltre l’ostacolo, sempre. E con la determinazione di chi si vuole aprire un varco, tra tanti spazi chiusi, per calciare con assoluta potenza la palla in grado di trafiggere al cuore gli avversari. Forza nelle gambe massima, baricentro basso, controllo preciso del corpo in disequilibrio, tiro di collo piede pieno e teso, tatticamente duttili, sono tutti i tratti simili che Lothar Kaiser della Germania riunificata e Radja cavaliere ramingo che arriva da Indonesia e Belgio, hanno in comune.

    E le differenze? Lothar Matthaus aveva più di Nainggolan una precisione nell’esecuzione al tiro che rasentava la perfezione. Sempre ben messo con le spalle, il corpo, la gamba d’appoggio rispetto alla palla che manteneva davanti a sé attaccando così al meglio, perché in tutti gli sport gli attaccanti più grandi sono quelli che sanno guardare la palla e tenerla avanti distanziandola dai difensori. Nainggolan che pur è grandissimo al tiro e decisivo, arriva alcune volte scomposto e col baricentro fuori equilibrio. La frenesia dell’irruenza. Da qui un’altra differenza: Matthaus era uno specialista, un cecchino prussiano di rigori e punizioni. Nainggolan non ha ancora questa specializzazione tecnica, è un guastatore non un demolitore delle linee nemiche. Anche il lancio è diverso. Lungo e teso quello del tedesco, alto e parabolico quello del belga. Uno è più tagliente l’altro più collettivo, sì collettivo. Matthaus calciava lungo per mandare in porta Diaz, Serena o Klinsmann, i suoi centravanti. Era il comando sotto forma di gesto del re ai suoi marescialli. Nainggolan calcia per ricevere di nuovo, dopo una ficcante corsa verticale, il pallone. Vuole che tutti partecipino al suo gioco, alla sua idea e che lo aiutino a tirare in porta.

    Due note ancora in questo parallelo-racconto tra cavalieri: il carisma e la tattica. Sul piano del carisma, del liderato Matthaus è nato leader, comandante. Lo era al Borussia Mönchengladbach quando da controrivoluzionario lottava contro il Bayern già allora kaiser della Bundesliga. Lo era quando venne all’Inter e riportò lo scudetto nove anni dopo l’ultimo, nel campionato di Maradona e del Milan della leggenda. Ed è chiaro che lo era anche nella Germania riunificata che guidò a vincere il campionato del mondo proprio contro l’ultimo grande Diego Maradona. Radja Nainggolan sta studiando da leader negli ultimi anni. E’ diventato centrale nella Roma quando Spalletti gli cambiò, tra le proteste miopi generali, il ruolo portandolo incursore dietro la prima punta. Questo nuovo ruolo gli ha aperto il campo e consegnato una leadership tecnica che il belga svolge alla grande ma non ancora alla Matthaus.

    Per essere comandante a quel livello occorre vincere. Sì vincere. Non perché i leader o i grandi si giudichino sempre e solo sulla vittoria e quindi sul “chi vince è grande e chi perde non lo è”, no non funziona così. Ma vincere in questo caso è fondamentale perché uno scudetto rappresenterebbe il superamento dell’ostacolo, il sogno che diventa realtà grazie alla caparbietà. Tutti traguardi che il grande Lothar voleva e riusciva a raggiungere. Per capire se Radja Nainggolan saprà arrivare fin lì serve l’ultimo pezzo già annunciato, la tattica. Col cambio di ruolo e la sua centralità il belga si è avvicinato molto al tedesco. E’ diventato duttile e in grado di giocare in tutti i ruoli del centrocampo, come lo era Lothar Matthaus. Entrambi ricongiunti, in un ruolo, all’essere il fulcro delle loro squadre. Luciano Spalletti avrebbe voluto, quest’estate, per la sua Inter Nainggolan per farlo giocare lì nella trequarti dove adesso alterna giocatori. Lì con il pallone davanti e la porta a venticinque metri e il tiro pronto a partire, lì tra le linee nemiche, lì dove imperava col suo magistero Lothar Matthaus.

    @MQuaglini

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