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  • Non è l’America dei nostri bisnonni. Trump ci avvicina all'Apocalisse
Non è l’America dei nostri bisnonni. Trump ci avvicina all'Apocalisse

Non è l’America dei nostri bisnonni. Trump ci avvicina all'Apocalisse

  • Marco Bernardini
La macchina da guerra del nuovo “dottor Stranamore” è partita in quarta facendo un gran baccano. Il presidente Donald Trump è un tipo che mantiene le promesse. Probabilmente anche per questo i suoi colleghi di quell’Europa dove alle parole raramente seguono i fatti prima si sono stupiti per tanta sollecitudine e poi hanno espresso indignazione per le decisioni prese dal capo di uno fra i più grandi Paesi del mondo. Persino la “dura” Angela Merkel si è detta scandalizzata. Il che dovrebbe far riflettere.

Trump non scherzava. In pochi giorni e con tante firme su documenti ufficiali ha iniziato a rivoltare gli Usa come un pedalino. Il via ai lavori per il Muro della nuova vergogna lungo i confini messicani, il ritorno ad un sistema sanitario che tutelerà soltanto quelli con la carta di credito in tasca, l’avvio delle pratiche per l’annullamento delle unioni civili, gli accordi con il potere industriale per una politica autarchica, lo sbugiardamento degli accordi internazionali sul clima per la difesa del pianeta, l’autorizzazione all’oleodotto il cui passaggio cancellerà l’ultimo villaggio organizzato dei superstiti pellerossa Navajo ancora esistenti negli Usa e, per ultima, la chicca della chiusura dei confini per tutti coloro che avevano intenzione di scappare dai sei nuovi “Paesi canaglia” dove infuriano guerre e terrorismo. Tutto ciò in cinque giorni, battendo anche il record del Padreterno e con la complicità solidale dell’amico Putin per il consolidamento di un asse Washington-Mosca che ricorda terribilmente quello spettrale tra Roma e Berlino.

Atti e operazioni di grande spessore e pesantezza realizzate nel momento meno opportuno, magari consapevolmente. Era, infatti, la settimana della memoria per il mondo intero. Giorni dedicati alla meditazione e alla riflessione su quanto e come possa essere bestiale l’uomo quando smarrisce il senso della misura e della pietas. Giorni da dedicare, con opere e parole, alla predicazione della solidarietà e non a mostrare i muscoli.

Il primo risultato concreto si è avuto in Canada, questa notte ora italiana, dove una bomba è esplosa uccidendo come sempre gente innocente, uomini, donne e bambini. Un atto di terrorismo all’incontrario rispetto ai canoni tradizionali cui siamo purtroppo abituati. L’esplosione è avvenuta in una moschea e i terroristi non erano certamente islamici. Le vittime si.

“Ce n’est que un debut”, non è che l’inizio come dicono i francesi. Perchè nonostante i milioni di persone, soprattutto donne, che stanno scendendo nelle strade delle città americane per protestare contro il nuovo inquilino della Casa Bianca, Donald Trump non ha alcuna intenzione di arrestare la sua macchina da guerra lanciata a velocità un po’ folle verso l’obbiettivo che prevede la trasformazione della nazione più liberista del mondo (non liberale) in quella più protezionista del pianeta. Un paradosso storico di proiezioni colossali che politicamente e socialmente può piacere soltanto a Salvini o alla Le Pen. Ma ancor più paradossale è il senso filosofico e programmatico dell’operazione Trump rispetto al suo slogan di battaglia: l’America agli americani, appunto.

Quali americani? Gli unici che potrebbero rivendicare l’appartenenza reale a questa terra sono i pochi, trecentomila circa, rimasti nelle riserve pellerossa. I loro padri, autentici fondatori dell’America, sono stati spazzati via con il genocidio nel corso degli ultimi secoli. L’America in realtà è degli inglesi, degli irlandesi, dei francesi, dei tedeschi, degli ispanici e anche quella dei nostri bisnonni che attraversarono il mare per arrivare negli Usa e contribuire a fare di una terra poco popolata ma felice, con i nativi e la sua natura incontaminata, il Paese più potente e contraddittorio del mondo. Lo stesso Donald Trump è di origini germaniche delle quali peraltro va fiero.

Il valzer si è iniziato, dunque. Molto più in fretta di quanto sarebbe stato legittimo attendersi, ma con la “violenza” e la “prepotenza” che si poteva immaginare. Ma la musica non è dolce. Semmai stonata. Intanto, per non perdere tempo, gli scienziati che custodiscono “l’orologio dell’Apocalisse” si sono affrettati a spostare la lancetta dei secondi in avanti. Soltanto due minuti e trenta prima della parola fine per l’umanità. Era accaduto una sola volta. Negli Anni Cinquanta quando il mondo si trovò sulla soglia di una terza guerra globale e nucleare in piena Guerra Fredda e crisi di Cuba. Speriamo che il filosofo Vico, inventore della teoria sui corsi e ricorsi storici, fosse soltanto un visionario e non un veggente.
 

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