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  • Perugia-Ternana: l'esempio dei tifosi stavolta è da applausi

    Perugia-Ternana: l'esempio dei tifosi stavolta è da applausi

    • Luca Borioni
    Perugia-Ternana, un derby di pelle tra quelli più autentici. Un tifoso perugino ha un malore, si aggrava subito, muore sulle gradinate. Mancano pochi minuti alla fine della partita, le due squadre sono sull’1-1. I tifosi del Perugia, piombati in un silenzio improvviso, ritirano tutti gli striscioni. La notizia del dramma inizia a diffondersi in tutto lo stadio. Dall’altra parte, anche i tifosi della Ternana ammainano bandiere e striscioni. Parte un applauso che unisce tutto lo stadio, si alza un coro unico che chiede all’arbitro e ai calciatori di fermare la gara.

    Così avviene, c’è un stop. La notizia della morte del tifoso ora è di dominio pubblico. Consultazioni in campo, momenti sospesi. Dal punto di vista del questore Gugliotta, contattato dallo staff arbitrale, non ci sarebbero problemi di ordine pubblico, per l’arbitro Ghersini neanche. Ma i calciatori non hanno più voglia di giocare, davanti alla morte di uno spettatore. E restano quasi immobili. L’arbitro spiega che così non si può. Mancano tre minuti, La gara allora si trascina fino al termine con i calciatori delle due squadre che si passano la palla in orizzontale, in attesa dei tre fischi.

    In Italia di solito ci rendiamo protagonisti di situazioni imbarazzanti quando le notizie di un dramma si mescolano a quelle del gioco più visceralmente amato in campo nazionale. Dai due ultras che a Roma entrarono in campo, presero Totti e gli comunicarono la falsa notizia dell’uccisione di un bambino da parte della polizia, fino a Genny ‘a Carogna che fu mediatore con le autorità per la disputa di una finale di Coppa Italia successiva all’assassinio del giovane Ciro Esposito fuori dall’Olimpico, la cronaca delle “interazioni” tra mondo ultrà e ordine pubblico è piena di episodi particolari che difficilmente trovano riscontro con quanto accade fuori confine, sotto altre latitudini.

    E comunque, aldilà di certe situazioni che coinvolgono la cattiva politica, il malaffare e la corruzione (specialità locali che purtroppo ben conosciamo) e che meriterebbero letture approfondite sotto il profilo sociale, noi italiani siamo in genere un po’ pasticcioni quando il sentimento si mescola alla ragione. Come quando parte irrefrenabile un bell’applauso nel mezzo di un minuto definito “di silenzio”. Il cuore va oltre la ragione. Così come, nel piccolo, mostrano di fare i giocatori che non esultano dopo un gol all’ex squadra o che chinano la testa davanti agli ultras inferociti per una sconfitta. Dinamiche patologiche di un calcio vissuto con troppa enfasi.

    A Perugia però è prevalso semplicemente il buonsenso. Altra dote, questa, che a volte in Italia si riesce per fortuna ancora a usare. Muore un tifoso, il gioco perde di significato, la rivalità si spegne, l’aggressività sparisce. C’è solo voglia di restare in silenzio, di salutare per l’ultima volta una persona sfortunata. La ragione va di pari passo con il cuore, finalmente. Nello stesso stadio dove, quasi quarant’anni fa, moriva per arresto cardiaco un calciatore perugino, Renato Curi. In uno stadio dove il derby con la Ternana è da sempre un evento ad alta temperatura. Carbone, tecnico dei rossoverdi, si è complimentato con la curva perugina, ha spiegato che certi comportamenti li credeva possibili solo in Inghilterra, dove ha giocato e conosciuto quella speciale sportività. Bei segnali. Osvaldo Neri aveva 62 anni. Allo stadio aveva anche suo figlio. Un saluto così renderà meno amaro il ricordo. 

     

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