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  • Roma, sbagliato usare il Var come alibi. L'errore letale è stato di Nainggolan
Roma, sbagliato usare il Var come alibi. L'errore letale è stato di Nainggolan

Roma, sbagliato usare il Var come alibi. L'errore letale è stato di Nainggolan

  • Giancarlo Padovan
Quando la Roma, al sorteggio per le semifinali, pescò il Liverpool, dissi che quello inglese era il peggior avversario possibile. Purtroppo ho avuto ragione. Tuttavia non ho fatto i conti con gli ultimi dieci minuti di partita della squadra di Klopp. Infatti a Liverpool, avanti per 5-0, ha concesso ai giallorossi di segnare due gol. Questa volta, dopo aver dominato nel primo tempo (2-1) ed essere stato raggiunto al 51’ da Dzeko, il Liverpool ha rischiato il tracollo nel finale subendo altre due reti di Nainggolan tra l’86’ e il 93’.

E’ cosi finita 4-2, con la Roma aritmeticamente ad un passo dai supplementari. Questo dice il punteggio, anche se la partita ha mostrato molto altro. Al contrario dell’andata, giusto il sistema di gioco della Roma (4-3-3) e azzeccato il baricentro. Né alto, né troppo basso, opportune le marcature preventive, buone le sovrapposizioni a sinistra - la destra del Liverpool - per mettere in difficoltà il punto debole dell’avversario, ovvero Alexander Arnold. Certo, in una partita in cui bisognava rimontare senza sbagliare nulla, un errore può essere letale. A commetterlo è stato Nainggolan che, anziché cercare un compagno, ha trovato Firmino. Contropiede 3 contro 3 e assist per Mané che ha chiuso con un diagonale definitivo.

La partita non si è decisa lì (era appena il 9’), ma certo è stata ben indirizzata. La Roma, per qualificarsi, avrebbe dovuto segnare quattro gol e anche dal punto di vista mentale era come essere stati ributtati indietro da un’onda fragorosa. Per fortuna e con fortuna è arrivato l’autogol di Milner (14’) sul rinvio di un compagno dopo il ponte aereo di El Shaarawy, forse il migliore tra i romanisti. Sarebbe potuta essere la scossa. Invece ha continuato a giocare il Liverpool. Non solo con i tre davanti (Salah, meno incisivo del solito anche perché ben marcato, Firmino e Manè), ma anche con i centrocampisti (Wijnaldum, Henderson e Milner). Bravo pure un esterno come Robertson. Sua l’accelerazione che, da sinistra, lo ha portato ad un passo da Alisson, prodigioso a salvare sulla conclusione di Manè. Dall’angolo successivo, Dzeko, sbilanciato nel contatto aereo, ha colpito male di testa e Wijnaldum ha messo dentro.

Solo a quel punto, la Roma ha cominciato a giocare. Forse perché liberata dalla necessità di segnare e di farlo in fretta, ha costruito la sua partita prima di tutto per non perderla (palo di El Shaarawy) e poi, eventualmente, per vincerla. Sospinta dalla forza del gioco, animata dal carattere e dall’orgoglio, la squadra di Di Francesco ha pareggiato subito nella ripresa (51’: Dzeko dopo respinta di Karius su tiro di El Shaarawy) e ha marciato con buona continuità. Under ha preso il posto di Pellegrini, il sistema di gioco è stato modificato (dal 4-3-3 al 4-3-2-1) e i risultati sono venuti anche perché il Liverpool è gradualmente calato.

Ci sarebbe stato un clamoroso rigore al 63’ (fallo di mano di Alexander Arnold sull’ennesima conclusione, questa volta ravvicinata, di El Shaarawy), subito dopo (66’) Dzeko ha sbagliato un gol quasi fatto (diagonale fuori). L’ultima volta che si ricorda un attacco del Liverpool (69’) è quando Alisson ha salvato di piede su Mané (assist di Salah). Klopp, secondo me sbagliando, ha creduto che l’unica cosa da fare fosse difendersi e ha inserito Klavan per Manè (difesa a cinque) e poi Solanke per Firmino. Squadra con il fiato corto e la vista annebbiata, il Liverpool è stato graziato da Dzeko (80’: salvataggio di Karius) per poi subire i due gol di Nainggolan, il secondo su rigore.

L’arbitro Skomina, non vergognoso come altri, ha concesso il rigore sbagliato (braccio di Klavan attaccato al corpo) e in un momento (93’) in cui non contava più. L’avesse dato mezz’ora prima, quando era inequivocabile, quasi sicuramente la Roma sarebbe andata ai supplementari. Monchi fa bene a lamentarsi (“ci vuole il Var”), ma la pressione va esercitata nelle sedi opportune. Parlare quando non ci si qualifica - come per la Juve - sembra un alibi. Ciò che le grandi squadre rifuggono. La politica (anche quella sportiva) conta e si fa lontano dal campo di gioco.       
 

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