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Torino modello inimitabile: essere tifosi granata è una missione

Torino modello inimitabile: essere tifosi granata è una missione

Essere tifosi granata non è una scelta, ma piuttosto una missione ereditaria che si tramanda di generazione in generazione. La missione è stupenda e difficile allo stesso tempo, perché consiste nel tenere alto il nome del Grande Torino. Il cui mito nacque con una squadra che vinceva le partite che sembravano perdute e stravinceva quelle già vinte, che giocava in uno stadio in cui c'erano muri che sembravano come persone e persone che erano muri. Una squadra che attaccava in massa e quando lo faceva, la cosa durava per lunghi interminabili minuti, tanto che il suo portiere (Bacigalupo), si sedeva tranquillo sulla linea della propria porta, come se fosse egli stesso uno spettatore. Una squadra che tanti anni dopo ebbe un numero 7 (Meroni) che passeggiava con una gallina al guinzaglio e dribblava meglio di George Best e che morì in un tragico incidente causato da un giovane automobilista che poi - colmo dei colmi - molto tempo dopo sarebbe diventato presidente del Torino (Romero).

Una squadra che poteva essere sconfitta solo dal fato e che diede la sensazione di poter vincere all'infinito. Una squadra che non accetta paragoni con niente e nessuno, perché chi ebbe la la fortuna di vederla, disse che al confronto di questa persino la grande Ungheria, il Real Madrid di Di Stefano e il Brasile di Pelè non erano che delle pallide controfigure. Quei vecchi tifosi del Toro, probabilmente sono stati i testimoni più fortunati nella storia del calcio, perché con i loro racconti hanno fondato il mito del Grande Torino ed è proprio grazie a loro che i Torinisti di oggi sono cosi fieri e se ancora adesso tifano Toro non lo fanno per le vittorie o per i giocatori, ma piuttosto perché quella granata è una seconda pelle e l'orgoglio per quel colore cosi intenso, sanguigno e denso di vita, non conosce sconfitta o delusione che lo possa intaccare.

Come accadde ad esempio quel 9 Agosto del 2005, giorno in cui il Toro rischiò di morire per una maledetta seconda volta lasciandosi alle spalle 99 anni di storia, a causa di un fallimento derivante da una pesante situazione debitoria. I primi anni 2000 furono gli anni in cui il calcio Italiano abdicò al suo ruolo di dominatore incontrastato e non è un caso che proprio in quel periodo altre grandi società come Fiorentina e Lazio dovettero fare i conti con una pesante crisi finanziaria. Ma i tifosi granata mai come in quell'occasione si dimostrarono devoti alla loro creatura prediletta e quando qualcuno cercò di trarre profitto sulle ceneri del Grande Torino, assediarono letteralmente il malintenzionato e gli fecero capire che sulla pelle del Toro non si poteva speculare.

Alla fine di tutta quella vicenda, rimase come unica vistosa cicatrice la scomparsa del vecchio stemma, ma ancora una volta il Toro ce l'aveva fatta e come un'araba fenice era risorto dalle proprie ceneri. Perché quella torinista è un'anima fatta di passione viscerale e di un cuore grande e coraggioso che ha scritto imprese memorabili anche quando meno te lo aspetti, come quella volta che fece fuori il Real Madrid nella coppa Uefa del 1992 e “rischiò” di vincere la coppa contro l'Ajax se non fosse stato per una svista arbitrale. Anche quella cavalcata rimase per sempre nella memoria del tifo granata, perché a volte certe sconfitte valgono più di mille vittorie, ma quando poi le vittorie arrivano sul serio allora sono indimenticabili. Come ad esempio la vittoria dello scudetto del 1976, che a detta di molti è stato lo spettacolo più bello che si sia mai visto a Torino dai tempi della liberazione, un tale spettacolo di folla che secondo i giornalisti di France Football e Onze Mondial quella era da considerarsi la tifoseria più bella d'Europa, tanto che la Renault utilizzò le immagini di quelle coreografie all'interno di uno spot televisivo per un suo modello negli anni '80.

D'altro canto che i tifosi granata siano speciali lo attesta una serie di curiosi primati, come quello di essere stata la prima tifoseria ad organizzare una trasferta aerea (nel 1963 contro la Roma), la prima ad esporre uno striscione e anche la prima ad utilizzare i tamburi e che per di più si poteva vantare delle performances di un tifoso trombettista (Oreste Bolmida), tanto che la curva Maratona venne ribattezzata “succursale del Maracanà”; per questi motivi e per tanti altri ancora, i tifosi granata vengono considerati come il dodicesimo uomo in campo, tanto che la società ha deciso di ritirare per sempre la maglia granata numero 12. Tutto questo ha segnato l'immaginario collettivo di intere generazioni del dopoguerra, un modello inimitabile e irraggiungibile che alla fine oltreché un mito è finito col diventare un vero e proprio meme presente persino nelle attuali generazioni che pure sono cresciute davanti alla Playstation.

Antonio Martines
@Dragomironero

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