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  • Totti, il futuro della Roma

    Totti, il futuro della Roma

    • Fernando Pernambuco
    Bisogna dire che Nainggolan ha dimostrato coraggio. Alla fine della rocambolesca Roma-Sampdoria ha espresso un concetto semplice ma profondo allo stesso tempo. E coraggioso, appunto: "Mi chiedo perché nel primo tempo, quando eravamo sotto 2-1, si sentivano soltanto fischi. Non è facile giocare con tranquillità così. Quando è entrato Totti c’era una spinta 2-3 volte maggiore". Come dire: bisognerebbe prima di tutto sostenere la squadra, soprattutto nei momenti difficili.

    Come dargli torto? Come non ammirare un certo ardimento nel relativizzare un mito? Totti, a Roma (ma non solo) ha assurto una dimensione che travalica il suo reale apporto in campo. Da giocatore è diventato l’essenza metafisica, che prescinde da qualsiasi dato dell’ esperienza, della romanità. Non un calciatore, ma il calcio; non un essere umano, ma un eroe. Un suo gol vale 10 gol, un suo assist 10 assist. Un suo gesto atletico esemplare entra nel Pantheon dell’immaginario romanista per non scomparire mai più. Con Totti, all’Olimpico, pur nell’evidenza di appesantimenti e rallentamenti, la cronaca diviene immediatamente epica: a 40 anni chi lo fa un passaggio al volo del genere? E un gol in spaccata? (o anche dagli 11 metri). Pazienza che la Roma, alla fine magari non vinca e che all’ inizio sia subito fuori dalla Champions (a proposito: è chiaro, “mancava il Capitano, se no vedevano quelli del Porto!”). Pazienza che qualche ingranaggio non funzioni, che la difesa balbetti, tanto c’è lui, l’immenso.

    In realtà, a ben vedere, Totti, campione consegnato agli annali del calcio, attualmente per la Roma è quel che si dice: "Croce e delizia". Delizia perché rappresenta un portentoso generatore d’emozioni, un lampo che acceca ed esalta; croce perché, prosaicamente, ha 40 anni e rischia di diventare il non investimento che copre i non investimenti. Satolla la piazza, calma gli animi, nutre l’inconscio collettivo. Ma se Totti rappresenta il surplus della Roma, in una folgorante sintesi di passato e presente, il futuro (anche quello immediato) dei giallorossi è Totti? E’ giusto dire, come fa Spalletti, che nemmeno un anno fa lo voleva far fuori, Totti giocherà ancora 2 anni, salendo, con un bel salto, sul carro del trionfatore d’una domenica? Siamo davvero sicuri di affidarsi più ad un talismano che a una squadra? In questo senso il richiamo di Nainngolan è molto più lungimirante di quello del suo allenatore, prima ateo e ora folgorato sulla via di Damasco del Tottismo.

    Tottismo, religione che antepone un campione alla squadra. Religione non solo romana. Fu milanista con Rivera (beatificato dal paron Rocco: “gente che corre, un mona che la butta dentro e un genio in mezzo al campo”), fu fiorentina con Antognoni, forse il più bel calciatore da veder volteggiare sul campo. La Fiorentina perdeva? Chi se ne frega, “noi -dicevano in curva Fiesole, al Chiosco degli sportivi e in città- abbiamo il migliore, il più grande di tutti.” In effetti Antognoni, da solo, era un rapsodo che, sul campo, disegnava sinfonie come nessuno. Già. Ma il resto? Gli altri 10 in maglia viola?
    Il campione immenso è una figura a doppio taglio: si libra alto nel cielo del sublime calcistico, ma poi da solo, non può far lievitare la classifica più di tanto. Catalizza la passione dei tifosi, ma anestetizza  una realtà non sempre magnifica. E’ una specie di pozione magica, di droga, che non  fa vedere il resto. E’ la miglior medicina per ingoiare la sconfitta, un antidoto contro la delusione, che quasi sempre scocca alla fine del campionato o nel bel mezzo di una competizione internazionale.

    Non abbiamo vinto, siamo usciti dalle Coppe, terzi o quarti in campionato…Vabbè…Ma uno come lui chi ce l’ha?

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