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  • Addio Bellugi: il Mondiale, l’amore per la vita, la fine straziante. E quel libro di segreti mai scritto

    Addio Bellugi: il Mondiale, l’amore per la vita, la fine straziante. E quel libro di segreti mai scritto

    • Stefano Agresti
      Stefano Agresti
    Per tanti anni Mauro Bellugi è stato per me uno straordinario protagonista dei Mondiali in Argentina, nel '78. Da bambino hai poche certezze e le mie, sul calcio, erano giusto tre: il centravanti fa i gol, il numero 10 ha i piedi buoni, lo stopper picchia. Poi ho visto lui, in quelle notti d’estate nelle quali mi era concesso di stare sveglio solo perché c’era l’Italia (altrimenti a letto dopo Carosello), e ho capito che lo stopper non necessariamente picchiava, ma poteva anche saper giocare a pallone. Una rivelazione.

    In quel modo la figurina di Bellugi è uscita dal mio album Panini, dov’era sempre stata in mezzo a tutte le altre con le maglie dell’Inter e del Bologna (e dove avrebbe poi trovato posto con quelle del Napoli e della Pistoiese), ed è diventata un pezzo unico. Lui era lo stopper che sapeva giocare. Lo stopper - lo diciamo per i giovani d’oggi - era quel difensore centrale che si preoccupava di marcare il centravanti avversario e aveva il compito di annullarlo o almeno limitarlo, spesso con modi rudi, mentre l’altro centrale (il libero) rimaneva staccato, pronto a raddoppiare e tamponare ovunque si aprisse una falla, e doveva avere qualità tecniche superiori perché spesso era lui a ricominciare l’azione. Ecco, Bellugi era uno stopper, di botte ne dava, ma i piedi erano buoni. Eccome.

    Ho avuto a che fare con Mauro moltissimi anni dopo e ne ho subito apprezzato l’intelligenza vivace, la simpatia, la modernità di pensiero. Ho poi condiviso con lui gli studi televisivi di 7Gold conoscendo meglio un personaggio meraviglioso. Molto diceva in diretta, anche quando non gli davano la parola, senza mai essere banale, ma il vero show lo regalava durante le pause pubblicitarie. Gli aneddoti, i ricordi, i segreti inconfessabili del calcio. E anche le follie. “Pensa, sono andato in Uruguay per starci due settimane e sono tornato in Italia dopo due anni”. Gli dicevo che dovevamo scrivere un libro sulla sua vita e sul suo vissuto dentro il mondo del pallone. Era diventata una gag alla quale partecipavano pure, divertititi, i conduttori. Mauro questa me la segno, ci facciamo un capitolo. “Stefano, come facciamo a raccontare certe cose: sono vere, ma ci arrestano tutti e due”, e giù risate.

    Ho saputo da amici comuni del calvario che ha dovuto affrontare negli ultimi mesi e che in parte è diventato di dominio pubblico: le gambe amputate, la straordinaria ironia (“mi hanno tagliato anche quella con cui ho segnato al Borussia il mio unico gol”), il nuovo straziante peggioramento delle sue condizioni. Ma mi aspettavo che ne venisse fuori, uno con il suo spirito può tutto, mi dicevo. Non è andata così.

    Nei giorni scorsi mi è capitato tra le mani il biglietto da visita che mi aveva dato una volta: questo è il mio indirizzo, vieni a trovarmi che andiamo a pranzo assieme. C’è scritto sopra: cavalier Mauro Bellugi. E’ saltato in groppa alla vita, l’ha percorsa con gioia, simpatia, successo, sensibilità. Gli abbiamo voluto bene, se lo è meritato tutto. Che la terra gli sia lieve.

    @steagresti
     

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