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  • Allegri-Adani, non è finita: la lite diventa infantile, ma Lele ha tutto il diritto di criticare
Allegri-Adani, non è finita: la lite diventa infantile, ma Lele ha tutto il diritto di criticare

Allegri-Adani, non è finita: la lite diventa infantile, ma Lele ha tutto il diritto di criticare

  • Fernando Pernambuco
    Fernando Pernambuco
La recente pubblica lite tra Allegri e Adani non accenna a spegnersi. Non l’alimentano i media, ma gli stessi protagonisti, che continuano a darsi  dell’"incompetente", "maleducato", "arrogante", "impreparato"Diciamo che il modo e gli argomenti hanno un sapore infantile, ribadito dalla reciproca incapacità a dire: basta, piantiamola lì

Ma la diatriba pubblica nasconde qualcosa di più profondo, che non ha direttamente a che fare col calcio. Ha a che fare con l’arte, la letteratura, lo spettacolo. Gli annali e le cronache sono piene di stroncature e incomprensioni, che sfociano in conflitti tra chi esercita il mestiere della critica e tra chi scrive, recita, dipinge...

Renato Fucini, autore toscano delle famose “Veglie di Neri” non amava chi lo definiva un “bozzettista”. Per quei recensori approntò il seguente quadretto: “Fate un clistere a un mulo. Aspettate. Ciò che uscirà è la critica”. Al letterato Tommaseo che dava una lettura riduttiva del sublime Leopardi, il poeta rispose: “La prego, non mi rompa i tommasei”. Pavese considerava l’esercizio critico in gran parte parassitario. Gli esempi potrebbero continuare e testimonierebbero un’ insofferenza da parte di chi fa, verso chi critica. Si potrebbe anche aggiungere che tutti o quasi conoscono Leopardi e pochi Tommaseo, che Pavese continua ad essere letto e nessuno si ricorda di chi lo criticava. Lo stesso Vittorini pagò un certo prezzo per aver duramente criticato “Il Gattopardo” e aver rifiutato di pubblicarlo per l’editore Einaudi. 

Ciò non toglie che la critica sia strettamente connaturata all’opera, perché quest’ultima è fatta per essere letta, vista, ascoltata. In una parola fruita. Senza lettori esisterebbero poesie, romanzi, saggi? Senza spettatori, ci sarebbero film o spettacoli? Né c’è bisogno di aver poetato per parlare di poesia o di saper dipingere per parlare d’arte. Lo stesso dicasi per il calcio. Sono dunque risibili le posizioni di chi dice: “Voglio vedere Adani cosa è capace di fare su una panchina”. Come se, non sapendo cucinare e criticassi un cuoco, quello, furente, mi dicesse: “Venga lei in cucina! E mi faccia vedere cosa sa fare”. Adani, dunque ha tutto il diritto, di esercitare i suoi giudizi critici e anche di sbagliarli. Ma ne è responsabile. In una parola: “I nostri giudizi ci giudicano”. E anche i modi con cui sono espressi.

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