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  • Andrea Agnelli e la Juve non devono temere di ricordare lo 'scomodo' Edoardo

    Andrea Agnelli e la Juve non devono temere di ricordare lo 'scomodo' Edoardo

    • Marco Bernardini
      Marco Bernardini
    Il 15 novembre di diciannove anni fa sul greto del torrente Stura venne rinvenuto il cadavere di Edoardo Agnelli. Era il solo  figlio maschio di Gianni e, almeno virtualmente, l’erede di uno fra gli imperi economico-finanziari più potenti del mondo. Aveva appena quarantasei anni. Ebbene, sono diciannove anni che nel giorno di quella nefasta ricorrenza la Famiglia continua a mantenere un assordante silenzio sulla figura, sicuramente “scomoda”, di uno dei suoi membri.

    L’imbarazzo, per certi versi, è comprensibile. Molto e fin troppo chiasso, almeno nelle stagioni successive alla tragedia, è stato fatto intorno ad una vicenda mai del tutto chiarita. A questo va certamente sommato un sottile, ma acuto, senso di colpa che tutti quanti gli Agnelli ancora viventi e gli stessi cugini Elkann non possono evitare di provare per non aver almeno tentato di sostenere in qualche modo lo sfortunato parente evitando quello che, fin da allora, sembrava un finale annunciato.

    Un peccato di memoria al quale Andrea Agnelli e la stessa società Juventus avrebbero il sacrosanto dovere di porre rimedio. Senza tanto clamore, ma almeno con poche righe ufficiali e non formali. Il perché di questo atto riparatore mai attuato, oltre al dato affettivo, sarebbe ampiamente motivato da ciò che Edoardo “spese” di se stesso e del suo cognome proprio per la squadra bianconera nel corso della sua brevissima e complicatissima vita italiana dopo essere tornato dagli Stati Uniti.

    Nell’immaginario del figlio dell’Avvocato la Juventus aveva un posto importante, sia a livello di passione e sia per i suoi intendimenti di eventuale impegno manageriale. Che fosse poi stato in grado di svolgere quel ruolo è tutto da dimostrare e nessuno potrà mai farlo né in un senso o nell’altro. Di certo vi è che Edoardo, almeno per un momento, aveva pensato di poter agire con autorevolezza nel Palazzo della famiglia dopo essere entrato dalla porta di servizio bianconera esattamente come aveva fatto il padre alla sua età.

    Fin dalla tragica notte dell’Heysel, quando Edoardo venne sorpreso in lacrime e sconvolto seduto suo gradini del sottopasso che conduceva allo spogliatoio, il giovane aspirante erede non lasciò mai la squadra bianconera dimostrando che il suo non era un attaccamento strumentale o di maniera. Tant’è che il popolo juventino aveva cominciato a volergli bene e ad apprezzarlo soprattutto per la sua spontaneità e il suo amore che con il tempo, forse, avrebbe potuto diventare anche competenza.

    Quel sogno venne cancellato e, via via, tutti gli altri che Edoardo si era prefigurato pur di potersi dichiarare ed esprimere come un autentico Agnelli e non come un personaggio scomodo e persino imbarazzante per le strategie della Famiglia. Andrea Agnelli, allora, era un ragazzino. Ma suo padre Umberto, dopo aver perso il primo figlio Giovanni Alberto, aveva in qualche modo “adottato” il nipote sostituendosi al padre Gianni almeno come confidente. Anche soltanto per questo motivo sarebbe giusto e bello che almeno il presidente  della Juventus, a titolo personale e della società, dimostrasse di non aver paura di ricordare pubblicamente Edoardo nel giorno della sua scomparsa.

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