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  • Anfield pieno, abbracci e festa: Liverpool-Atletico una partita fuori dal tempo. Sogno o follia?

    Anfield pieno, abbracci e festa: Liverpool-Atletico una partita fuori dal tempo. Sogno o follia?

    • Fernando Pernambuco
      Fernando Pernambuco
    Liverpool-Atletico Madrid è stata una partita bellissima. Anzi epica. Due concezioni del calcio a confronto, la squadra favorita che perde in casa, ribaltamenti, rimonte, i tifosi inglesi che incitano fino all’ultimo secondo i Reds soccombenti. E poi la solita maledizione dei portieri: questa la sindrome che attanaglia la squadra di Klopp. Perse la Champions a causa d’un portiere, la vinse per merito di un altro, ne è stato estromesso ieri, per responsabilità d’un altro ancora.

    Ma la partita è stata anche un’altra cosa. Soprattutto un’altra cosa, almeno per chi la guardava o meglio la viveva dall’Italia. Sembrava giocata su un altro pianeta o in un altro tempo, come se nulla fosse. Gli spettatori su spalti gremiti, gli abbracci in campo e fuori, le esultanze e gli abbattimenti come non si sapesse cosa c’è dietro l’angolo. Solo Klopp è sembrato preoccupato, irritato anche dai segni di festa nei suoi confronti.

    Fa effetto guardare dall’incertezza chi invece vive nella certezza, fa effetto sapere che ci si affanna, si corre, s’impreca, si gioisce, ci si avvilisce per una partita, quando l’intera competizione, quasi sicuramente sarà sospesa, quando partite del prossimo turno non si terranno. Eravamo, davanti al televisore, sotto un effetto straniante: come se ciò che accadeva realmente (la partita di Anfield) fosse in realtà virtuale e non avesse senso o avesse il senso d’una fiction. Perché la nostra realtà è un’altra e, brutalmente, ci verrebbe da dire: non ce ne frega niente di Firmino o del nipote di Gento, del Cholo o di Klopp.

    La domanda più urgente non è: chi vincerà la Champions?

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