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  • Atalanta esagerata e spietata, dov'è finita la regola di non infierire?
Atalanta esagerata e spietata, dov'è finita la regola di non infierire?

Atalanta esagerata e spietata, dov'è finita la regola di non infierire?

  • Giancarlo Padovan
    Giancarlo Padovan
C’è stato un tempo in cui era doveroso, giusto e opportuno fermarsi. La regola non era scritta, ma tramandata dallo spogliatoio della serie più infima a quelli di serie A: mai infierire sugli sconfitti. Ricordo nitidamente quando Luciano Spalletti, uno che le categorie del calcio le ha frequentate tutte, scese nella pancia dell’Olimpico per “scusarsi” per i sei gol inflitti dalla sua Roma al Catania. Aspettò i giocatori avversari al rientro dal campo e ad uno ad uno strinse loro la mano stringendosi nelle spalle. La Roma aveva esagerato, non aveva saputo frenare l’istinto di colpire e il suo allenatore si sentiva quasi i colpa. O quando Silvio Baldini, allora al Parma, gridò allo stesso Spalletti che allora stava sulla panchina dell’Udinese: “Aò, siamo in dieci, state vincendo, cosa continuate ad attaccare?”. I cronisti d’antan avevano coniato un verbo felicissimo: scrivevano che una squadra aveva “maramaldeggiato” sull’altra. Non sono i soli esempi. Ci sono anche quelli di calciatori che, brutalmente sotto con la loro squadra, andavano a macchiarsi di falli minatori nei confronti di avversari che li “scherzavano” con tunnel o con il famigerato “scavetto”.

Tutto questo sembra stia scomparendo di fronte alle imprese dell’Atalanta arrivata, dal 2017 ad oggi, a quindici goleade complessive: si va dallo 0-5 al Genoa (2-4- 2017) all’1-5 all’Everton (23-11-2017); dallo 0-8 al Sarajevo (2-8-2018) all’1-5 al Chievo (21-10-2018). Una lunga serie che ha visto recenti vittime l’Udinese (7-1 a Bergamo), il Milan e il Parma (5-0 a Bergamo), il Torino (0-7 all’Olimpico) e, domenica scorsa, il Lecce (2-7 a Via del Mare). Senza contare il 4-1 al Valencia in Champions League dove però la differenza reti è un criterio vitale e, dunque, i tanti gol sono pienamente giustificati. La squadra di Gasperini non solo gioca il miglior calcio della serie A (parere personale anche se largamente condiviso dalla critica), ma quando è in vantaggio non si lascia muovere a pietà: continua a segnare anche se il risultato è largamente acquisito.

Molti hanno provato a dire che è giusto perché lo esige lo spettacolo. Altri sostengono che quella di proseguire nel prendere a pallate un avversario sia la massima forma di rispetto verso di loro (prima di parlare, però, bisognerebbe provare). Pochissimi - a parer mio - hanno centrato la vera ragione: l’Atalanta segna tanto, anche troppo, perché il suo gioco prevede sempre la conclusione in porta e il gol altro non è che la conseguenza di questo automatismo. Chiedere all’Atalanta di palleggiare o di far girare la sfera per gestire un vantaggio, significherebbe costringerla a fare ciò che non sa e quindi non le riesce. Poi c’è la voglia di fare statistica e, a suo modo, storia: settanta reti in venticinque partite non significa avere solo il miglior attacco del campionato, ma creare i presupposti per sfondare quota cento, un traguardo che sembrerebbe inarrivabile per i tempi moderni e, soprattutto, per il munitissimo campionato di seria A.

Questo discorso sulla congruità della vittoria è talmente vero che anche gli avversari l’accettano come un fatto ineluttabile. Se non ti riesce di batterla o di pareggiare - e può accadere perché in fase difensiva concede molto - l’Atalanta è la tipica squadra che può segnare eccedendo senza limiti. Chi perde non fa più brutta figura, ma accetta di giocare alla pari. E la gente dello stadio lo capisce a tal punto che alla fine tributa applausi convinti sia ai vincitori che agli sconfitti. Battuti, non umiliati.

@gia_pad
 

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