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  • Bel gioco o risultato? 'Questo è il calcio': l'unico sport dove i guru incompetenti fanno scuola

    Bel gioco o risultato? 'Questo è il calcio': l'unico sport dove i guru incompetenti fanno scuola

    • Gian Paolo Ormezzano
      Gian Paolo Ormezzano
    A televisione non ancora imperante, e su base cosmica quanto a divulgazione anche di volti, di  sembianze, di fattezze umane, ci fu una volta una delle prime emittenti intelligenti e divertenti (come è noto poi ce ne sono state tantissime di simili) che mandò in onda una partita spacciandola per sfida ad alto livello e creando un sottofondo artificiale, farlocco di pubblico. L’audience si impennò, i calcioflili apprezzarono lo spettacolo e furono entusiasti e grati, sino a quando non venne reso noto che trattavasi di una partitella anzi partitaccia qualunque, mettiamo tramvieri contro anzi versus conducenti di autobus. Il tutto non ricordo dove, ma sicuramente non in Italia.

    Il fatto mi è tornato in mente in questi giorni, televedendo alcuni spareggi italiani di terza serie: sicuri che se fossero stati annunciati come sfide fra Nazionali valide ancorché non notissime quanto a fisionomia dei loro atleti, fornendo si capisce i giocatori di maglie ad hoc e curando la costruzione dell’ambiente, facilissima con gli attuali teletrucchi, ci saremmo accorti del bidone? Mettiamo un Ungheria-Ecuador, mettiamo. Se poi si potessero eseguire interventi elettronici di maquillage, di trucco sui volti, si potrebbe spacciare una sfida fra falegnami e imbianchini per una finale di Coppa dei Campioni.

    La mia domanda si dilata così: esiste un modo inequivocabile di giocare bene a calcio? O il risultato e solo il risultato decide chi ha giocato meglio? Il calcio è l’unico gioco sportivo al mondo dove, per giustificare uno score  osceno, in cui fortuna e arbitro hanno deciso l’esito a pro della squadra assolutamente più scarsa, si dice con una sorta di compiacimento: “Questo è il calcio”. E amen. Alla faccia anche di rilevazioni pignole, ultimamente eseguite e offerte su vasta scala, che cercano di certificarci la partecipazione o meno al gioco da parte di Tizio e di Caio, l’occupazione del terreno e l’intensità di movimenti di questo o quel reparto.

    Continuo la dilatazione appoggiandomi ad altre domande. Il tiki-taka è bello o è brutto, piacevole o noioso, importante o cretino? E davvero il gioco del nuovo Ajax ospita insieme il revival del vecchio glorioso Ajax e il futuribile del calcio tutto? E si può celebrare il gioco all’inglese anche se di inglesi in una squadra di club vincente ce ne sono appena due?

     E infine: personalmente ho assistito a troppe partite in cui un risultato del tutto casuale ha dato il via a un eccesso di  considerazioni presunte logiche, presunte intelligenti sulla superiorità di una squadra sull’altra. Sempre personalmente, dico che ho avuto al fianco in tante, tante anzi troppe Olimpiadi, colleghi solenni che, assistendo ad una corsa dagli 800 metri in su senza sapere grazie al programma la distanza della sfida, hanno pensato che quei bravissimi tipi stavano correndo i 5000, e viceversa. 

    E tornando al calcio troppe volte ho notato che schieramenti e ruoli, schemi e tattiche venivano sonoramente “decisi” e diffusi in tribuna stampa da uno per tutti, e se si trattava di un guru celebre ma incompetente spesso tutti si adeguavano (persino al tempo del libero, teoricamente facile da individuare, o della scelta fra “a zona” e “a uomo” ci furono equivoci, come dire?, solennemente pilotati).

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