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  • Calcio e razzismo, la 'banalità del male': fermare le partite non è moralismo
Calcio e razzismo, la 'banalità del male': fermare le partite non è moralismo

Calcio e razzismo, la 'banalità del male': fermare le partite non è moralismo

  • Fernando Pernambuco
    Fernando Pernambuco
È difficile continuare ad affrontare un tema così importante come “Calcio e razzismo“. Difficile perché c’è il rischio di ripetersi, di generalizzare e, in una parola, banalizzare. Riproporre, quindi, ancora una volta, quella che Hannah Arendt (oggi sempre più citata) definiva “La banalità del male“. Il libro, con questo titolo, traeva le prime mosse dal processo a Eichmann, efficientissimo organizzatore della “soluzione finale”, uno dei massimi responsabili dell’Olocausto. La filosofa tedesca svelò che, nella modernità nazista, il male non aveva più bisogno del diavolo, dell’orco, dell’omicida seriale, ma si annidava nella quotidianità, nel perbenismo, nel riduttivismo. Da tragico diventava banale. Eichmann era un ottimo padre di famiglia, amava i canarini e la musica classica, non tradiva la moglie e ubbidiva agli ordini. Perché la gente avrebbe dovuto disprezzarlo e condannarlo? Che male incarnava? Nessuno. Lo condannavano perché era un vinto!  

Che male fanno quelle centinaia o migliaia di ragazzi, ragazze, adulti, vecchi, quando urlano buu ai calciatori di colore? Non esageriamo! È solo un banale “sfottò”. Ecco, siamo al punto: alla banalizzazione, che rende accettabile l’infamia. “Eh, ma mica li ammazziamo! E poi: che sarà mai una partita di calcio? Non esageriamo: sono proprio i moralisti che, esagerando, fomentano il razzismo”. Sono tre argomentazioni centrali a cui proviamo a rispondere. 



L’Olocausto fu la soluzione finale a un diffuso atteggiamento di disprezzo nei confronti degli ebrei (un buu quotidiano, irridente). Una partita di calcio è un evento collettivo, un fatto, rivestito anche da un messaggio altamente comunicativo e simbolico. Condannare con semplicità e fermezza ogni forma di razzismo nascente e diffusa non è moralismo. Chi definirebbe moralisti coloro che criticano la corruzione?

Hannah Aarendt, nel suo libro, non toccò l’aspetto economico dell’Olocausto. Non era quella sede. Per quanto riguarda calcio e razzismo, è, invece, essenziale. Interrompere una partita di calcio lede troppi e variegati interessi. Ci riesce solo un evento naturale. E nemmeno quello: ci vuole una catastrofe. Banale no? In fondo, il clima non è moralista

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