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  • Corbatta, il 'Garrincha argentino': 'Nessuno mi porta via il pallone perché lo amo'
Corbatta, il 'Garrincha argentino': 'Nessuno mi porta via il pallone perché lo amo'

Corbatta, il 'Garrincha argentino': 'Nessuno mi porta via il pallone perché lo amo'

  • Remo Gandolfi
    Remo Gandolfi
Mi sono buttato via … lo so.
Pensavo che i giorni di gloria sarebbero durati per sempre.
Ma non è stato così.
Non poteva essere così.
Se non hai mai avuto nulla quando arrivano fama e denaro puoi perdere completamente il controllo, la misura e il senso di realtà.
Ed è quello che è successo a me.
Sono analfabeta ed è la mia più grande vergogna.
Non sopporto che le persone lo sappiano.
Per questo motivo non mi vedrete mai in giro senza un libro o un quotidiano in tasca … anche se non so che farmene.
Me ne vergogno come un cane ma a casa mia eravamo in tanti e il problema era procurarsi il pane … non i libri.
Mi vergogno di questo ancora di più dell’altra “cosa” … del mio alcolismo senza limiti che mi ha portato ad essere quello che sono ora.
Un malato terminale con un cancro alla gola che i miei eccessi hanno provocato.
Giocavo nel Racing Club, la squadra più bella del mondo.
Giocavo in Nazionale e che Nazionale! Con me c’erano Sivori, Maschio, Angelillo … avremmo potuto e dovuto fare molto di più.
Al Racing la gente mi amava.
Mi sono divertito tanto in quel periodo.
Giocavo con il numero 7, stavo sempre vicino alla linea laterale e quando mi arrivava la palla nella mia zona nessuno riusciva a portarmela via.
Si dice che allora venivano allo stadio anche tanti tifosi dell’Independiente, i nostri grandi rivali, a vedermi giocare.
Dalle nostre parti non è frequente …
Sarei rimasto al Racing tutta la vita ma nel calcio contano i soldi, per le società e per i calciatori.
Così mi cedettero al Boca per un mucchio di soldi.
Ma pensavo già più a bere che a giocare.
Non ho lasciato un gran ricordo agli “Xeneises” ma la mia vita stava già andando a rotoli.
Ero già al mio secondo matrimonio.
Il primo era già naufragato.
Sposai una prostituta che mi fecero conoscere i miei compagni di squadra.
Non ero mai stato con una donna prima …
Me ne innamorai, anche se non sapevo neanche bene cosa volesse dire.
Restammo insieme per qualche anno e sembrava che, nonostante tutti mi diedero del matto quando la sposai, le cose funzionassero.
Poi se ne andò portandosi via tutto.
Beh, c’era pur sempre la bottiglia.
Mi sposai ben 4 volte e tutte le volte rimasi senza mogli e con sempre meno soldi.
Al Racing non si sono dimenticati di me e mi hanno dato una mano, ho due stanze in cui vivere, un bagno e un letto per dormire.
Ora sono qua a combattere contro questo tumore pur sapendo che alla fine sarà lui a vincere la partita.
Peccato … pensavo davvero che i giorni di gloria sarebbero durati per sempre …

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In Argentina, quando si parla di numeri 7, il primo nome che viene citato è proprio il suo: Oreste Omar Corbatta (nella foto, il primo in basso a sinistra). Nel Racing Club di Avellaneda il suo nome è leggenda, di quelle da tramandare nei racconti di generazione in generazione.
“El Arlequin” “El Garrincha argentino” “El Loco” “El dueno de la raya” … sono solo alcuni dei suoi soprannomi. Di sicuro c’è che l’abusato “genio e sregolatezza” con lui raggiunse un livello fino ad allora sconosciuto. Corbatta nasce nel 1936 a Daireaux nella provincia di Buenos Aires.Le giovanili le passa nell’Estudiantes ma è il Racing a dargli la possibilità di esordire in prima squadra. (anche perché all’Estudiantes pare che rubasse gli scarpini dei compagni di squadra per ricavarci qualche pesos …)
Esordio a 19 anni. Ma Corbatta è un idolo ancor prima di esordire. In una amichevole precampionato contro il Quilmes lo stadio del Racing si riempie. Non certo per la trascendenza del match. Ma perché tutti vogliono vedere lui, “El Loco”, di cui si raccontano già meraviglie. E quel giorno, Corbatta, non gioca neppure …
Nel giro di due anni è già un titolare inamovibile della Nazionale Argentina. C’è anche lui nella linea d’attacco dei “Carasucias” (qui da noi conosciuti come “gli angeli dalla faccia sporca) con Sivori, Maschio e Angelillo che distrusse il Brasile nella finale del Campionato sudamericano del 1957. Peccato però che solo un anno dopo, ai mondiali di Svezia, il Brasile del ragazzino Pelé i mondiali li vinse mentre l’Argentina uscì in modo indecoroso al primo turno … e l’unico a salvarsi di quella spedizione fu proprio lui, Corbatta, autore di tre gol in tre partite. Durante quei mondiali uno dei tanti aneddoti della sua incredibile e ahimè breve vita. Amedeo Carrizo, il mitico portiere argentino del River Plate, faceva parte anch’egli della spedizione. Corbatta si è già costruito una fama di infallibile rigorista ma Carrizo, altrettanto bravo nel pararli i rigori, lo sfida ad un singolare duello; 50 calci di rigore tirati da Corbatta. Carrizo vince la sfida se ne para almeno 10, in caso contrario vittoria di Corbatta. La notizia della sfida fa il giro tra addetti ai lavori e tifosi. A fine allenamento c’è più gente ad assistere alla sfida tra i due che in una normale partita del campionato svedese. Corbatta segna 49 volte. Con il 50mo rigore colpirà il palo.
Il segreto? mi metto sempre di lato alla palla, mai di fronte. E guardo il portiere negli occhi. Mai la porta o l’angolo dove voglio tirare. Mi basta che accenni un movimento … e lo faccio secco.
L’anno prima, durante un amichevole in Uruguay, fa letteralmente impazzire il terzino uruguagio Pepe Sasia, che non riesce neppure ad avvicinarlo, saltandolo sempre in dribbling con facilità irrisoria. Ne prende le sue difese un compagno di Sasia, che, da dietro, rifila un calcione tremendo a Corbatta. Mentre il n° 7 argentino è ancora a terra Sasia capisce che quella sarà probabilmente l’unica occasione in tutta la partita in cui potrà avvicinarsi a Corbatta … finge di aiutarlo a rialzarsi e poi gli rifila un tremendo pugno in faccia. Da quel giorno il sorriso di Corbatta sarà con due denti in meno. Nel Racing è amato alla follia. Gli si perdona di tutto. Non si allena praticamente mai. E il suo demone personale, l’alcool, inizia a diventare sempre più ingombrante. A volte lo vanno a prendere direttamente a casa. Sanno che se mezz’ora prima del match non si è ancora presentato qualcuno dovrà andare a casa a prenderlo. Prima di un importantissimo match di campionato contro l’Estudiantes Corbatta arriva allo stadio completamente ubriaco. Tre secchi d’acqua fredda pare non ottengano alcun risultato. Ma è troppo forte per lasciarlo fuori. Mentre il manager dà le ultime istruzioni prepartita Corbatta sonnecchia appoggiato al lettino del massaggiatore. Le uniche parole che riesce a dire sono “non passatemi la palla che non la vedo”.
Segnerà due gol. Chissà quanti ne avrebbe fatti se la palla l’avesse vista …
Il suo problema con l’alcool peggiora di giorno in giorno.
Gli mettono un angelo custode alle costole, nelle trasferte con la squadra specialmente. Mentre è con lui non beve, pare pian piano ritrovare un po’ di equilibrio. Poi però l’amara sorpresa: quando lasciano gli hotels dove la squadra soggiorna si accorgono che sotto il letto c’è sempre un cimitero di bottiglie di birra vuote. Nel 1963 il Boca spende 12 milioni di pesos per acquistare Corbatta.
Con quel denaro, quella montagna di denaro, il Racing Club amplia il suo stadio e costruisce un complesso sportivo. In 3 anni scarsi al Boca giocò solo 18 partite segnando 7 reti. Tre delle quali nello stesso incontro, al Velez Sarsfield nella Bombonera. I suoi eccessi però stanno diventando fuori controllo e il Boca a quel punto è ben felice di recuperare parte dell’investimento di pochi anni prima cedendo Corbatta all’Independiente di Medellin. Di lui, nei 4 anni passati in Colombia, si ricordano i 5 gol segnati in una partita di campionato contro il Deportes Tolima ma anche il rigore sbagliato (uno dei pochissimi) in una partita di Copa Libertadores … proprio contro il “suo” Racing Club. Proprio qui in Colombia la sua esistenza personale scende in una china dalla quale “El Arlequin” non saprà più risollevarsi.
Con l’ennesimo divorzio se ne vanno praticamente tutti i pochi soldi rimasti e l’alcool diventa sempre più il vero padrone della sua vita. Al suo ritorno in Argentina non c’è esattamente la fila di grandi Clubs pronti a farsi carico di un giocatore talentuoso ma di così difficile gestione. Finisce i suoi anni in squadre minori della Provincia argentina dove alterna prestazioni eccellenti ad altre clamorosamente insufficienti. Quanto mai significativo uno degli aneddoti di quel periodo. Durante un match giocato nella “cancha” del Ferro, in una di quelle giornate abuliche dove Corbatta si limita a corricchiare svogliato lungo la linea laterale, gli si avvicina un fotografo “forza Corbatta, mettiti a giocare che ti scatto una foto!”
Corbatta lo guarda incuriosito “Se me la fai, gioco”.
Tempo pochi secondi e Omar Oreste Corbatta si fa dare la palla da un compagno di squadra, parte in dribbling saltando tre avversari e spara un diagonale imprendibile per il portiere avversario. A quel punto tutto tronfio si gira verso il fotografo “Allora? Hai fatto la foto?”
“No” è la risposta sconsolata del fotografo … “non mi hai neanche lasciato il tempo di inserire il rullino”!!!
Pare che “hijo de la puta madre que te pariò” sia stato l’epiteto più gentile che si prese quel giorno quel fotografo … con Corbatta che per tutto il resto della partita continuò a camminare lungo la fascia destra senza quasi mai toccare il pallone !
Gli ultimi giorni della vita di Corbatta sono di miseria e di alcool, con il Racing che gli concede una piccola stanza nel centro di allenamento e gli dà qualche pesos per dare una mano con il settore giovanile. I suoi eccessi gli regaleranno un tumore in gola che si porterà via “El Arlequin” nel dicembre del 1991, a soli 55 anni.
Infine, il calcio secondo Oreste Omar Corbatta “sapete perché non riescono mai a togliermi la palla? Semplice. Perché lei ed io siamo innamorati e lei non vuole andarsene da me!”

(​Tratto da “STORIE MALEDETTE – L’altra metà del calcio” di Remo Gandolfi – URBONE PUBLISHING)
 

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