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  • Da cialtroni a eroi: la sanità pubblica italiana e il virus dell'incoerenza
Da cialtroni a eroi: la sanità pubblica italiana e il virus dell'incoerenza

Da cialtroni a eroi: la sanità pubblica italiana e il virus dell'incoerenza

  • Fernando Pernambuco
    Fernando Pernambuco
Sventurata la terra che ha bisogno di eroi” scrisse Bertold Brecht nella sua Vita di Galileo. L’auspicio era quello di una società in cui prevalessero i valori della ragione, in cui fosse riconosciuta giusta considerazione a diritti e a doveri, a capacità e competenze. Insomma a una quotidiana dignità priva di gesti eclatanti, di figure esemplari al limite del sovrumano. Gli eroi antichi erano per metà figli degli Dei, gli eroi cristiani recavano in sé le stimmate della purezza e della pietà, gli eroi politici incarnavano gli ideali di una nazione. Tutte persone fuori dal comune, investite da una carica metafisica e fideistica edificante, basata, quasi sempre sul coraggio e sul sacrificio, anche “a costo della propria vita”. Garibaldi era l’eroe dei due mondi, Mussolini definiva gli italiani “un popolo di eroi” oltre che di navigatori, santi ecc. Per non parlare, poi, dell’ eroismo di certa razza. Ma, più semplicemente, spesso immaginazione e necessità di riscatto per le nostre grigie esistenze vanno a braccetto con l’esigenza di trovare degli eroi. Da ragazzi, troneggiano, nel nostro immaginario, addirittura i Supereroi.

Ora, in piena emergenza, abbiamo perfino scoperto un’ intera categoria di eroi: sono i medici, gli operatori sanitari, i barellieri, gli autisti delle autoambulanze... Tutti eroi. Peccato che fino a due mesi fossero dei cialtroni o giù di lì. Chi si prodiga in lodi ed inni? Come scrive il dottor Fabrizio Magnolfi, già Direttore del Dipartimento di Medicina Specialistica dell’Azienda Usl 8 di Arezzo, sono prima di tutto i cittadini, “gli stessi che fino a un mese fa minacciavano di denuncia ad ogni piè sospinto gli operatori sanitari, specie quelli in prima linea nel 118 e nel Pronto Soccorso o nelle Terapie Intensive, ogni qualvolta le cose non andassero nel verso giusto, senza mai valutare a fondo se ci fossero reali responsabilità di qualcuno. Gli stessi (...) sospettosi finanche minatòri, disposti solo ad accettare la guarigione dei propri congiunti, ma non l’ipotesi d’un esito sfavorevole se non infausto. Gli stessi cittadini pronti a reclamare per le lunghe liste d’attesa e ad imputarne la colpa agli operatori stessi. E allora ci si può porre una domanda: si tratta degli stessi medici vituperati o sono diversi? (...) Non viene da pensare che se sono eroi ora, forse lo erano anche prima?”.

Magnolfi ricorda poi come si spertichino in lodi anche coloro che si rendevano protagonisti in prima linea contro la “classe medica” e contro la Sanità pubblica (gratuita), sbattendo in prima pagina i casi di malasanità e, aggiunge chi scrive, tacendo su tutto il resto ( le guarigioni, le assistenze, le cure…). Ovvero i media, stampa e televisione in testa.

In effetti, la Sanità Pubblica è stata sottoposta, da tempo, a un linciaggio mediatico continuo e sistematico. La notizia che nel nostro Paese i malati oncologici abbiano vita più lunga rispetto alla media europea (fonte OMS) l’ho letta due mesi fa in un microscopico taglio basso nelle prima pagina del Messaggero. Non ci sono stati titoloni o aperture di telegiornali. Abbiamo visto e appreso, invece, la terribile denuncia giornalistica di alcuni pazienti stesi su materassi a terra in un Pronto soccorso di Napoli, dopo un avvelenamento collettivo. Si è urlato all’infamia, salvo poi scoprire, in due righe e in un passaggio televisivo, che quella era la migliore cosa da fare.

Ma c’è ancora di più. Non sono pochi gli esponenti politici i quali per anni hanno parlato, ad ogni inciampo, di malasanità, di costi spropositati, di necessaria apertura al privato e che ora corrono in aiuto degli eroi in camice bianco. Si afferma, con cognizione di causa, come in Italia vi siano in dotazione circa 6 mila ventilatori per terapia intensiva, mentre ce ne sarebbe, ora, bisogno di almeno il triplo. Ecco, immaginatevi cosa avrebbero scritto i giornali, cosa avrebbero tirato fuori certi politici, cosa avrebbe pensato la maggioranza dei cittadini se si fosse venuto a sapere che esistevano almeno 10 mila postazioni di Terapia Intensiva inutilizzate e un notevole, relativo numero di anestesisti “disoccupati”. Non si sarebbe urlato allo scandalo? Allo spreco? Alla Sanità Pubblica, carrozzone di nullafacenti? Non si sarebbe chiesto a gran voce di  aprire, con le convenzioni, alle “più efficienti” cliniche private? E di chiudere reparti inutili? Di fatto, le cliniche private sono sorte come funghi.

Non si tratta di demonizzare alcuni interventi come una certa razionalizzazione degli Ospedali, la cui eccessiva frammentazione illudeva soltanto sulla possibilità di cure efficaci, non vogliamo nemmeno dire che non ci siano e non ci siano stati ritardi o farraginosità. Ma utilizzare il rapporto costi-benefici come l’unico parametro per i beni comuni o meglio per l’interesse pubblico, è un errore. Così come è un errore considerare la Sanità Pubblica (gratuita) alla stregua di qualcosa di naturale che scenda dal cielo, una conquista eterna e incancellabile. Come un bene assicurato per sempre e non come un servizio collettivo, sia pure con limiti e criticità, da mantenere a tutti i costi. Un servizio che, tocca pur dirlo, si difende, prima di tutto, con le tasse. Un servizio capace di andare avanti, giorno per giorno, senza eroi. Col dovere, col giuramento di Ippocrate, con la dignità e il lavoro che non hanno bisogno di sacrifici esemplari. Ricordiamocelo anche nella buona, non solo nella cattiva sorte.

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