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  • Da un'atleta pesante accusa alla Nike: 'Proibito rimanere incinta!'

    Da un'atleta pesante accusa alla Nike: 'Proibito rimanere incinta!'

    • Pippo Russo
      Pippo Russo
    Sei incinta? E allora stop al contratto di sponsorizzazione. È un'accusa grave quella lanciata da Alysia Montaño, ottocentista statunitense. E il bersaglio è grosso, perché si tratta di Nike. Cioè una marca che non soltanto è fra i colossi globali dell'abbigliamento e dell'equipaggiamento nello sport, ma che negli anni Novanta si fece anche promotrice di un messaggio d'emancipazione femminile attraverso l'accesso e la partecipazione allo sport. Su tale retorica, molto è stato detto e scritto riguardo alla sostanza e alla sincerità di quelle campagne pubblicitarie. E adesso il Caso Montaño si presenta come un ulteriore dossier da gestire con grande imbarazzo.
     
    IN GARA ALL'OTTAVO MESE DI GRAVIDANZA - Il caso è esploso all'improvviso, e fa riferimento a fatti avvenuti all'incirca cinque anni fa. Lo porta alla luce il New York Times, che nei giorni scorsi ha raccontato la vicenda dell'ex campionessa nazionale Usa. E l'ha condensata in un video, molto efficace nel rovesciare la retorica dell'advertising usata nel corso del tempo da Nike in materia di gender equality e di promozione dello sport femminile (QUI).

    Alysia Johnson-Montaño, atleta newyorchese classe 1986, rende nota la propria vicenda di atleta che era stata messa sotto contratto dal marchio dello swoosh e i motivi per cui quell'accordo è stato interrotto. Tutto accade quando Alysia informa Nike di volere un figlio. Le viene risposto che, semplicemente, la casa di Beaverton “mette in pausa il contratto” per tutto il periodo della gravidanza, con tanto di stop ai pagamenti. La conseguenza immediata è la fine dell'accordo fra Montaño e Nike.

    L'atleta trova un nuovo sponsor (Asics) e acquisisce notorietà mondiale quando nel 2014, in occasione dei Campionati Nazionali di Atletica, corre gli 800 col pancione. Va in pista all'ottavo mese di gravidanza (QUI). In quell'occasione, rivela l'atleta durante l'intervista al NYT, lo scopo è stato dimostrare che non vi sia uno scontato conflitto fra maternità e pratica sportiva. Messaggio recepito. Ma molto più importante, e pesante, è quello che Alysia ha deciso di comunicare in questi giorni. Perché esso rimarca per l'ennesima volta un lato oscuro, di impari opportunità, in materia di diritto all'accesso e alla pratica nello sport.
     
    POLIZZE ASSICURATIVE E CONTRATTI CON L'ASTERISCO - L'articolo del NYT sottolinea diversi profili di fragilità, riguardo al rapporto fra sport d'alta competizione e diritto alla maternità. In particolare viene messo in evidenza come i professionisti dell'atletica siano particolarmente dipendenti dai denari degli sponsor, e come ciò comporti risvolti particolarmente discriminatori per le atlete proprio a causa della prospettiva di una gravidanza. Si parla di clausole contrattuali, inserite in documenti dalla natura “strettamente confidenziale”, in cui la maternità viene trattata come un rischio per entrambe le parti contraenti. Dunque, una circostanza da evitare.

    Ma Alysia Montaño va oltre, e afferma che il “danno da gravidanza” può riguardare non soltanto gli accordi con gli sponsor ma anche le coperture assicurative garantite dal Comitato Olimpico Usa. Queste ultime sarebbero vincolate alla “capacità di performance dell'atleta”, e dunque possono essere diminuite o addirittura estinte in caso di gravidanza.
    Ne deriva che la situazione sia molto più grave di come si penserebbe se la si limitasse al caso singolo di  Alysia Montaño. E a testimoniarlo sono le reazioni piuttosto imbarazzate da parte di Nike. Dal cui quartier generale trapela la notizia di una recente revisione delle clausole contrattuali relative alla materia specifica. È ciò che riporta un articolo pubblicato da The Independent (https://www.independent.co.uk/life-style/women/nike-pregnant-athletes-performance-related-pay-cuts-pregnant-alysia-montano-a8913081.html). Da quando, questa revisione degli standard? Dal 2018. Quanto a ciò che succedeva prima, viene precisato che sia norma del settore quello di prevedere clausole del contratto in cui si parli di riduzione dei premi basata sul livello di performance (performance-based paymet reduction), e che “storicamente, poche atlete si sono viste applicare tali riduzioni”. Poche. Non nessuna.
     

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