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  • Dagli Houston Rockets a Ozil, la Cina non tollera critiche dallo sport occidentale

    Dagli Houston Rockets a Ozil, la Cina non tollera critiche dallo sport occidentale

    • Pippo Russo
      Pippo Russo
    La censura cinese colpisce ancora. E con straordinaria mira va addosso alle leghe sportive occidentali più ricche e diffuse sul piano globale. Dopo la NBA è toccato alla Premier League, con identica dinamica: un soggetto legato a una società sportiva osa criticare un aspetto della politica interna del governo di Xi Jinping, e la risposta è la censura televisiva contro quella società sportiva.

    Col danno che ne consegue per medesima società e per l'intera lega
    , i cui sponsor perdono la visibilità offerta dal più gigantesco mercato nazionale del pianeta.
    La seconda puntata di questa vicenda si è realizzata durante il weekend che ci siamo appena messi alle spalle, e nasce dalle critiche rivolte da Mesut Özil riguardo alle gravi condizioni in cui versa in Cina la minoranza uigura. Quest'ultima è un'etnia turcofona di religione islamica, insediata nella regione nord-occidentale del paese. Recenti investigazioni giornalistiche internazionali hanno portato alla luce le terrificanti azioni di repressione cui gli Uiguri sono sottoposti dal governo di Pechino. Si parla di arresti su base etnica, campi di concentramento in cui vengono condotti programmi di rieducazione ideologica, e di uno smantellamento sistematico dell'identità uigura. Rispetto a questo stato delle cose ha preso posizione Mesut Özil, l'ex nazionale tedesco di origine turca che già in precedenza era finito al centro di polemiche, a causa del proprio legame con le origini etno-religiose e della declinazione politica che il calciatore ne fa.

    In questa circostanza il centrocampista dell'Arsenal ha mosso una critica alla comunità internazionale musulmana, stigmatizzando il fatto che la persecuzione degli uiguri non provochi le necessarie reazioni necessarie. Lo ha fatto attraverso l'account personale di Instagram, suscitando l'immediata reazione da parte del governo cinese. Che ha risposto alla libera opinione espressa da un calciatore con la censura televisiva opposta alla società per la quale egli è tesserato.

    Risultato: il match fra Arsenal e Manchester City, disputato domenica 15 dicembre e messo in programmazione live dall'emittente di stato China Central Television (CCTV), non è stato mandato in onda. Lo spazio di palinsesto è stato riempito con la differita di Wolverhampton Wanderers-Tottenham Hotspurs. E la scelta è stata accompagnata dalle critiche espresse dalla Federcalcio cinese, che ha dichiarato la propria delusione per le parole di Özil, definite “inadeguate”. Si è fatto sentire anche l'Arsenal. Per difendere la libertà d'opinione del proprio tesserato? Nossignori: per prenderne le distanze attraverso un comunicato ufficiale pubblicato sulla popolare piattaforma Weibo.

    La sostanza del comunicato dei Gunners è che il club non entra in ballo su questioni politiche. Il che, a dire il vero, è una presa di posizione eminentemente politica. Ma soprattutto è un tentativo di non alienarsi il mercato cinese, ciò che per il club inglese e i suoi sponsor costituirebbe un danno pesantissimo. E quanto alle libertà civili o alla repressione delle minoranze, si tratta di faccende che non sono di pertinenza della dirigenza arsenalista.

    Come detto, non è la prima volta che lo schema della censura televisiva cinese contro una società sportiva occidentale si mette in moto. Era già successo lo scorso ottobre e in quella circostanza il bersaglio erano stati gli Houston Rockets, franchigia NBA. Il motivo della censura era stato un tweet di Daryl Morey, general manager del club. Costui, dall'account privato, aveva espresso sostegno ai manifestanti che a Hong Kong protestavano (e continuano a farlo) contro la riforma della legge sull'estradizione voluta dal governo di Pechino. Questa sua esternazione è costata l'immediata espulsione delle gare degli Houston Rockets dai palinsesti di Tencent Sport, la piattaforma web che possiede l'esclusiva delle gare NBA in Cina. Un danno enorme per gli Houston Rockets e per la NBA nel suo complesso. Tanto da costringere la lega a esprimere una posizione pubblica. Nella quale non sono state prese le difese del dirigente degli Houston Rockets, ma piuttosto sono state presentate le scuse per l'accaduto. Pure la proprietà del club ha preso le distanze, e anche in questo caso il senso è: “Noi non facciamo politica”. Dal canto suo, Morey si è trovato costretto a cancellare il precedente tweet e a scriverne di nuovi in cui ha precisato che le opinioni espresse fossero a titolo personale e non coinvolgessero in alcun modo gli Houston Rockets. Tutte queste reazioni di carattere difensivo hanno finito col creare disappunto di segno opposto, da parte di quella vasta parte di opinione pubblica Usa che ha chiesto cosa mai ci fosse da ritrattare e presentare scuse se ci si è schierati in difesa della libertà.

    Ma al di là di ogni considerazione sui casi singoli, rimangono le indicazioni di fondo da trarne. E esse dicono quanto presto abbia fatto il capitalismo di stato cinese, questo mix irripetibile di gigantismo di mercato e controllo politico statale, a sfruttare le debolezze del capitalismo tradizionale di matrice occidentale. A fare la differenza non sono le regole del gioco o la capacità di stare sul mercato concorrenziale. A fare la differenza è la forza, come sempre. E adesso la forza risiede nel controllo del più vasto mercato di consumo interno al mondo. A Pechino lo sanno. E nel resto del mondo, purtroppo, anche. Le tremebonde reazioni mostrate da Premier League e NBA ne sono soltanto una conferma. Business is business. E quanto ai diritti delle collettività, “qui non si fa politica”.

    @pippoevai

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