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  • Diego non era Zidane, ma se ha fallito la colpa è solo della Juve

    Diego non era Zidane, ma se ha fallito la colpa è solo della Juve

    • Antonio Martines
    Ripensare a Diego Ribas da Cunha oggi fa un certo effetto, soprattutto in virtù di ciò che è la Juventus attuale e di ciò che era quella in cui ebbe la sfortuna di giocare il brasiliano. Diego nella Juve del 2009, era probabilmente l'uomo giusto nel posto giusto, ma nel momento più sbagliato di sempre. Quando gli juventini ripensano a lui vanno veramente in confusione, visto che provano uno strano mix di sentimenti: dall'innamoramento immediato e convinto, alla delusione improvvisa e inspiegabile; perché comunque il brasiliano era un calciatore vero da tutti i punti di vista, visto che aveva tecnica eccellente,forza atletica, e un tiro decisamente fuori dal comune, sia per potenza che per precisione. Diego arrivò nella Juve del dopo Calciopoli, convinto del fatto che la nostra Serie A fosse ancora una sorta di eccellenza calcistica, tanto da rifiutare le offerte del Bayern e del Real, il brasiliano vedeva il nostro campionato come un palcoscenico di qualità, e forse pensava che accettare la corte della Vecchia Signora avrebbe potuto rivelarsi una scelta vincente in quel particolare momento, visto che i bianconeri venivano dalla più grande umiliazione della loro storia, ed erano invasati da un'infernale voglia di rivincita, che però si sarebbe manifestata solo qualche anno più tardi, e lo stiamo vedendo fin troppo bene ai giorni nostri.

    Diego rappresentava quindi il condottiero dal quale ripartire, l'alfiere simbolico che avrebbe dovuto prendere la pesante eredità degli stranieri più talentuosi nella storia bianconera, da Sivori a Zidane, passando per Platini. Sembravano esserci tutte le premesse per assistere all'ennesima storia di classe e fantasia in tinte bianconere. L'inizio fu anche promettentissimo, visto che il 30 Agosto del 2009, il brasiliano fu il protagonista assoluto del 3-1 all'Olimpico contro la Roma,con una doppietta che lasciò tutti senza fiato, visto che si tratto di due gol in cui si vide gran parte del suo repertorio. Dribbling, velocità, accelerazione, improvvisi cambi di direzione e soprattutto le due conclusioni a rete, semplicemente spettacolari e fuori dal comune, perché la prima fu un esterno destro carico di un effetto, di una precisione, ma anche di un controsenso dal punto di vista balistico, che lasciò di stucco tutti. Da quella posizione e distanza infatti, la cosa più logica da fare era il classico interno destro alla Del Piero e invece lui fece esattamente l'opposto. Il secondo gol invece fu su una precisa e improvvisa verticalizzazione di Iaquinta, con Diego che prende la palla punta il difensore avversario e spara un missile talmente preciso e potente, da far apparire il pallone molto più pesante di quanto in realtà non fosse.

    L'esultanza che ne segui, con tutti i giocatori della Juve in corsa sotto il settore dei propri tifosi, sembrava essere l'inizio di una nuova gloriosa era juventina che aveva trovato in lui, il nuovo e indiscutibile condottiero... e invece fini tutto esattamente in quel momento, inspiegabilmente e assurdamente. Diego infatti si spense giornata dopo giornata, all'interno di una squadra, ma soprattutto di una società, che evidentemente non avevano ancora una visione del proprio futuro. Quella era la Juve di Jean Claude Blanc e non di Andrea Agnelli, era quindi una Juve che si illuse di poter creare dal nulla un progetto tecnico, fondato su un'eleganza di matrice francese, che però mal si coniugava con lo storico pragmatismo delle radici piemontesi di madama. Era soprattutto una Juve che pensò di poter replicare con Ferrara, la magia unica e irripetibile del rapporto tra il Barca di quegli anni e un tecnico ancora giovane come Guardiola, che aveva fatto parte della storia vincente del club.

    Niente di più sbagliato! Quella Juve infatti ricordò per certe cose le antiche catastrofiche velleità che si videro ai tempi di Montezemolo, quando un'altra Juve di transizione, si mise in testa di copiare il calcio del Milan euromondiale del primo ciclo vincente di Sacchi e Berlusconi. Diego quindi, si perse ben presto all'interno di un contesto sul quale calarono le nebbie dell'improvvisazione e della mancanza di progettualità strategica di un club che evidentemente non aveva ancora idee ben chiare, ma che soprattutto si riappropriò della sua vera identità, solo quando l'anno successivo arrivò alla presidenza del club Andrea Agnelli. Rimane dunque ancora viva in molti tifosi bianconeri, la netta sensazione di aver assistito alla morte precoce di un talento che ebbe la colpa - se cosi si può dire - di arrivare alla Juve nel momento peggiore di tutti, e di non aver avuto la pazienza di provare almeno un altro anno, la stessa mancanza di pazienza che poi lo portò tra alti e bassi a spendersi in una carriera caratterizzata da compromessi al ribasso e che almeno all'inizio sembrava promettere ben altro. Peccato! Perchè il suo talento avrebbe meritato tremendamente di più.

    @Dragomironero

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