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  • Il derby a Roma, malattia contagiosa: anche gli stranieri la buttano in rissa

    Il derby a Roma, malattia contagiosa: anche gli stranieri la buttano in rissa

    • Stefano Agresti
    Roma è una città dissacrante fino all'esasperazione: nessuno si salva da una battuta oppure da una presa in giro, nemmeno il Presidente della Repubblica o addirittura Sua Santità. E chiunque accetta lo sfottò, ci mancherebbe: altrimenti che gusto c'è? Solo sul derby si fa difficoltà a scherzare: non sai mai quale reazione può avere il tuo interlocutore, fosse anche l'uomo più pacato e pacifico del mondo. Ecco, il derby è l'unica storia davvero seria di Roma. Una malattia.

    Il derby non è solo una malattia: è anche contagioso. Nel senso che, se qualcuno comincia a frequentarlo, non porta i suoi anticorpi all'interno per guarirlo, ma ne rimane a sua volta vittima. Ricordate quando Ranieri sostituì nell'intervallo Totti e De Rossi e ribaltò il risultato con una doppietta di Vucinic? Si disse che i romani sentivano troppo questa partita e che quella clamorosa scelta era stata - oltre che coraggiosa - anche decisiva. Ora non è più così, evidentemente.

    In questo derby c'era in campo un solo romano: De Rossi. Due erano in panchina: Totti e Cataldi (più qualche ragazzino). Uno, infortunato, stava in tribuna: Florenzi. Non per questo è mancato il caos, non per questo è venuta meno la caciara, come la chiamerebbero qui. E a scatenare il pandemonio sono stati addirittura gli stranieri, che magari parlano a fatica l'italiano, ma sanno usarlo benissimo per accendere gli animi.

    Rudiger, provocatore della vigilia: "Non so niente della Lazio, nemmeno chi la allena". Strootman, provocatore a gara in corso: segna e butta l'acqua in faccia a Cataldi che gli è accanto. Lulic, folle reazione razzista a partita finita: "Rudiger due anni fa vendeva calzini e cinture a Stoccarda, ora fa il fenomeno". Un crescendo di pessimi comportamenti che ti saresti potuto aspettare dai romani, emotivamente coinvolti nella sfida fin dalla nascita. Invece: c'erano un tedesco, un olandese e un bosniaco, ora sono più romani dei romani.

    Se ci pensate, anche l'imperdonabile errore del brasiliano Wallace in occasione del gol di Strootman (quel colpo di tacco assolutamente pazzesco al limite della propria area) ha qualcosa di romano: una sbruffonata che se ti riesce fai godere tutta la tua gente, ma se la sbagli... Una giocata così non te l'aspetti da uno juventino, insomma. "Mo te lo faccio vedere io chi sono...": ecco, sei l'uomo che ha fatto perdere il derby alla tua squadra.

    Ma se a Roma anche gli stranieri diventano romani, se perfino loro vengono contagiati dalla malattia del derby, forse è perché questa partita è davvero unica: nella capitale d'Italia e della cristianità, è il solo vero rito riconosciuto e rispettato da tutti. Vietato scherzarci sopra. Ma fino a un certo punto.

    @steagresti
     

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