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  • Mercato d'altri tempi: Sernagiotto firma due contratti, con Juve e Genoa

    Mercato d'altri tempi: Sernagiotto firma due contratti, con Juve e Genoa

    • Alessandro Bassi
    Con la seconda metà degli anni'20 del XX secolo il calcio italiano prende definitiva consapevolezza di sé, si lascia alle spalle la fanciullezza spesso ingenua dell'età pionieristica e si riconosce capace di catalizzare interessi, passioni e denaro. Con i roaring twenties all'italiana assistiamo, tra gli altri, all'ingresso nel mondo del calcio dell'industria e dei primi grandi e medi industriali, con una cascata di denari che avrà ripercussioni fondamentali nello sviluppo del gioco del calcio dalle nostre parti. Denaro e ambizione portano alla ricerca sempre più affannosa di calciatori sempre più forti da oltre frontiera, non senza eccessi.

    FRONTIERE CHIUSE, ANZI NO - Eccessi che si sostanziavano in una corsa all'ingaggio che aveva visto i presidenti delle squadre di calcio italiane competere in elargizioni sempre più sfrenate e incontrollate ai tanto celebrati calciatori stranieri. Tanto che il regime fascista, una volta messe le mani sul giocattolo calcio impose la chiusura delle frontiere. Autarchia, la parolina magica. Ovviamente, se la regola imponeva la chiusura a doppia mandata delle frontiere, l'eccezione venne prontamente trovata e normata come si deve. Il Fascismo con la Carta di Viareggio chiudeva sì frontiere ma le spalancava per i “fratelli d'Italia” emigrati all'estero. L'escamotage – e ne abbiamo già parlato alcuni mesi or sono – venne individuato in quella legione di calciatori “rimpatriati”, cioè in quei calciatori che seppur non italiani per nascita erano portatori, per così dire, di tutti i valori nazionali. I fratelli d'Italia erano il nuovo business calcistico e gli industrialotti del tempo non se lo fecero dire due volte prima di tuffarsi nella nuova avventura.

    SUPERMARKET SUDAMERICA - L'Eldorado calcistico ovviamente era in Sud America, e dove sennò? Mete della migrazione italiana a cavaliere tra '800 e '900, le immense terre sudamericane brulicavano di campi da gioco sui quali sgambettava il meglio di quella generazione calcistica, calciatori quasi tutti con un parente o un antenato italiano da far valere. Negli anni'20 assistiamo dunque ad un vero e proprio saccheggio da parte delle ricche squadre italiane dei migliori giocatori argentini, brasiliani e uruguagi. Le frontiere sono chiuse ma il Sud America è sempre – o quasi – aperto, cassa continua. In quegli stessi anni Uruguay e Argentina su tutte mettono in bella mostra la loro mercanzia, dettando legge alle Olimpiadi e nelle tournée munifiche in giro per l'Europa delle loro squadre di club, così è facile capire perché chi ha soldi li spenda per accaparrarsi quei giocatori, figli di emigrati italiani ai quali il regime non nega certo la doppia cittadinanza una volta che fanno ritorno in Italia a giocare. Sull'argomento “costi”, interessante è qua riportare quanto spiegava bene un articolo tratto da La Gazzetta dello Sport del 1930:
    “(...) Il fatto si è che le società italiane non sono tenute a pagare alle consorelle d'origine dei loro acquisti quei premi talvolta favolosi in uso in Italia; di modo che tale indennità, anche se rilevante, non raggiunge le misure iperboliche raggiunte da talune note cessioni. Siccome poi tale premio viene corrisposto direttamente al giuocatore, questo è messo in una condizione finanziaria florida che naturalmente lo invoglia a giuocare con l'impegno maggiore e con l'entusiasmo migliore per i colori della nuova società.”
    Ne beneficiano tutti: le squadre italiane, i calciatori, i tifosi e il regime stesso. Soprattutto il regime, meglio sarebbe dire. Tant'è. Dopo le Olimpiadi parigine del 1924 in Italia arrivano tantissimi giocatori sudamericani, molti veri fenomeni del loro tempo: Libonatti, Orsi, Stabile, Cesarini, Sernagiotto, Monti su tutti. Come abbiamo altre volte avuto modo di raccontare, questi stessi “rimpatriati” andranno ad ingrossare le fila della Nazionale italiana, contribuendo non poco alla vittoria azzurra della Coppa del mondo del 1934.

    I DUE CONTRATTI DELLA FLECHA DE ORO - Di calciomercato ancora non si parla, ma la corsa all'oriundo impazza. Tanto che i giornali dell'epoca non riescono a tenere il passo con tutte le notizie e indiscrezioni delle numerosissime trattative delle società italiane con quelle sudamericane. E, bisognerebbe aggiungere, del sempre più crescente fastidio delle federazioni sudamericane verso quello che ben presto prende i contorni di un vero e proprio saccheggio italiano. In questo mercato selvaggio non mancò neppure un caso che visto con le lenti di oggi fa davvero sorridere, ma che all'epoca costò un anno di squalifica al giocatore. Correvano le ultime settimane del 1930 quando la Juventus aveva concluso con il Palestra Italia la cessione di Pietro Sernagiotto (nella foto, il quinto da destra), velocissima e guizzante ala destra di origine friulane. Abilissimo nel dribbling e rapidissimo nel cambio di passo Sernagiotto aveva ben due soprannomi: era stato soprannominato la Flecha de Oro, fulmineo, scattante e praticamente imprendibile per gli avversari e Ministrinho, piccolo ministro, per la sua statura che superava di poco il metro e mezzo.  Per il fatto che la stagione calcistica argentina stava volgendo al suo termine naturale, le squadre italiane si mobilitarono per andare a fare shopping sfrenato. In quegli stessi giorni il Genoa era senz'altro il più intraprendente, come si legge dalle pagine dei giornali dell'epoca. Durante le amichevoli di fine anno aveva fatto esordire Pratto e Stabile, il capocannoniere del primo mondiale, ed era interessato ad altri giocatori sudamericani. La Juventus, si diceva. La Juventus era quella dei cinque scudetti consecutivi, quella dall'attacco stellare con Cesarini, Orsi, Munerati, Vecchina. I bianconeri concluso l'affare con il Palestra Italia stavano attendendo l'arrivo si Sernagiotto, tanto che al porto di Genova mandarono una delegazione di benvenuto al giocatore.  Arrivato il piroscafo, gli emissari della Juventus ebbero la sgradita sorpresa di venire a conoscenza del fatto che Sernagiotto aveva firmato per il Grifone! Era accaduto che sul piroscafo sul quale viaggiava Sernagiotto verso l'Italia erano presenti anche alcuni emissari del Genoa e questi ne avevano approfittato per tesserarlo, non sapendo che il giocatore aveva già firmato per la Juventus. La vicenda suscitò scalpore e la Federazione, fatte le dovute verifiche, comminò a Sernagiotto un anno di squalifica, così che la Juventus non poté schierarlo in gare ufficiali se non dalla stagione 1931/32. Pur con questa falsa partenza, la carriera di Sernagiotto con la Juventus fu ricca di soddisfazioni. A Torino rimase tre anni e vinse altrettanti scudetti prima di far ritorno in Brasile.

    (Alessandro Bassi è anche su http://storiedifootballperduto.blogspot.it/)

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