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  • Inter e Juventus, ecco gli spogliatoi infuocati: Spalletti, gli arbitri e...Moggi!
Inter e Juventus, ecco gli spogliatoi infuocati: Spalletti, gli arbitri e...Moggi!

Inter e Juventus, ecco gli spogliatoi infuocati: Spalletti, gli arbitri e...Moggi!

  • Fernando Pernambuco
    Fernando Pernambuco
Chi lo avrebbe detto? Esiste lo Spalletti furioso. Eravamo abituati all’altro, quello verboso che aggiunge metafore su metafore, paragoni su paragoni e non si sa mai, in fondo, cosa voglia dire. Alla fine della partita, soprattutto dopo un risultato infausto, anche la più elementare domanda dava la stura ad un sermone infinito, inconcludente, a tratti barocco. Dopo infinite orbite argomentative, ti ritrovavi lì, al punto d’avvio, col medesimo interrogativo. Ora, sarà vero, come diceva il grande scrittore inglese Thomas Hardy, che quando si ritorna al punto di partenza si scoprono nuove cose, ma con Spalletti no.

“Perché questa prestazione?” era, per esempio la banale domanda di rito. “Perché- argomentava cantinelando, l’allenatore toscano- se siamo lunghi,non siamo corti, ma la lunghezza t’illude perché puoi cascare nel vuoto; noi invece rincorriamo la cortezza, senza raggiungerla, quindi ampliamo il vuoto, senza riempire il gioco e allora succede che rincorrere è un conto, correre un altro, ma il conto poi non torna…”. E via così, finché l’intervistatore, esausto e atterrito, chiudeva il collegamento temendo di perdersi in ulteriori meandri della Bibbia del nulla. Era, per lo più, lo Spalletti romano, costretto dalla curia giallorossa in cui officiava un Totti al declino eppure intoccabile, ad essere guardingo. In sostanza ad esprimere, senza dire alcunché. 

Anche nei primi tempi dell’ Inter era solito rispalmare il suo balsamo verbale sulle alterne scottature di prestazioni non proprio esaltanti della sua squadra, forse la più difficile da interpretare nel nostro Campionato. Ai geroglifici sul campo, Spalletti aggiungeva i suoi misteri orfici. 

Ora non più. Ora, smessi quelli della melina, ha inforcato gli occhiali dell’ira, puntando, al fischio finale, il dito minaccioso contro l’arbitro; attaccando anche chi, poi in studio,  gli dava ragione, circa il non rigore esemplare contro i nerazzurri. Il macroscopico torto subito lo ha dunque reso un paladino furente, che se la piglia anche con chi gli dà ragione. In contemporanea,  Marotta, anche lui già compassato e prudente comunicatore di fumo, si chiudeva nello spogliatoio con l’arbitro e sfoderava la durlindana dell’indignazione. Sul fatto, ha dato una lettura da par suo, Mario Sconcerti. Lettura interamente da sottoscrivere, dicendo, in sintesi, che gli arbitri sono la parte migliore del calcio e che l’Inter (non la sola per altro) ha la memoria corta.

Ci limitiamo, comunque, a una domanda: vi ricordate la leggenda di qualcuno che si chiuse con l’arbitro a Reggio Calabria? Sembra che non fosse vera. Invece Marotta nello spogliatoio a inveire, pare che ci sia andato davvero. 

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