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  • La Luna di Ormezzano: 'Io c'ero, vi racconto tutto: gli astronauti, i giornalisti, le donne e lo sport'

    La Luna di Ormezzano: 'Io c'ero, vi racconto tutto: gli astronauti, i giornalisti, le donne e lo sport'

    • Gian Paolo Ormezzano
      Gian Paolo Ormezzano
    La stampa sportiva ha avuto a lungo in Italia quattro quotidiani (La Gazzetta dello SportCorriere dello Sport, Tuttosport e Stadio, rispettivamente “prodotti” a Mlano, Roma, Torino e Bologna), quando nel resto del mondo poche nazioni avevano un quotidiano sportivo  ed uno solo, su tutti il francese L’Equipe ritenuto un vangelo. Ad un certo punto e per poco tempo ci fu in Italia addirittura un altro quotidiano sportivo, Olimpico, di Roma. Il fatto che a Cape Canaveral e poi a Houston, Florida e poi Texas, luogo del lancio verso la Luna di Apollo 11 e centro operativo della Nasa, l’agenzia spaziale statunitense, nel luglio del 1969 ci fossero tre inviati speciali di quotidiani sportivi italiani rappresentò comunque una sorpresa per tanti: che ci stavano a fare?

    Che ci stavamo a fare? Io c’ero, e diciamo pure che una parte del merito o della colpa è mia. Spinto dai pronostici di successo epocale del lancio, avevo convinto il parsimonioso editore ed il cauto direttore di Tuttosport a spedirmi negli Usa, sostenendo, paradossalmente ma intensamente, che si trattava di un tentativo di nuovo record del mondo di salto in alto: trecentomila e passa chilometri per “salire” sin  lassù. Ed ho buone ragioni per credere che gli altri due quotidiani si siano uniti all’iniziativa anche per non risultare “staccati” dalla concorrenza:  i due loro inviati furono per la “rosea” Luigi Gianoli che si occupava prevalentemente di cavalli, e Sergio Neri che per il Corriere dello Sport si occupava prevalentemente di ciclismo (e che aveva lavorato  con me a Tuttosport). Due amici frequentati specialmente al Giro d’Italia dove ci trovavamo ogni anno, e dunque nessun problema a sistemarci tutti e tre insieme in una camera di motel, quel che passava il convento a Cape Canaveral superaffollato (a Houston ci allargammo in un vero hotel).

    Al di là della trovatina del salto in alto, cosa c’entravamo noi tre? Poco o nulla, se si pensa che la stampa italiana aveva spedito i suoi grandi inviati e anche i suoi collaboratori illustri letterati, che ovviamente furoreggiavano, Oriana Fallaci ed Alberto Moravia. Però di sportivo c’era pure il senso della competizione (contro i russi, che avevano aperto nel 1961 con Gagarin i lanci in orbita, cioè la grande saga spaziale), c’era la straordinarietà  dell’evento con le sue sfaccettature pratiche (per esempio: in caso di successo, sarebe poi stata una sorta di obbligo organizzare competizioni sportive sulla Luna?). E noi tre passavamo una discreta parte del nostro tempo a spiegare ai colleghi cosa cavolo facevamo lì. E poi c’era il nostro reportage vero e proprio, notizie poche e però mi pare otto ore di fuso orario a nostro svantaggio, nel senso che in Italia era già notte quando lì era primo pomeriggio. E poi c’eravamo noi, noi nel senso di poveri ma qualificati rappresentanti di uno sport italiano che esisteva eccome. Personalmente ricordavo Ruggero Orlando ai Giochi olimpici invernali di Innsbruck, Austria, nel 1964. Me lo aveva presentato Sandro Ciotti. Voleva fare interviste sensazionali al gran mondo dello sport, lo scoprì bunkerizzato, chiuso ai giornalisti non sportivi, si arrabbiò persino e ripiegò su Soraya, la principessa triste ripudiata dallo Scià di Persia, niente neanche da lei, ricordo che ri-ripiegò su Maria Schell, la sorella di Maximilian, la grande attrice cinematografica austrosvzizzera delle “Notti bianche” di Luchino Visconti.

    Ruggero era ipermelomane come Luigi Gianoli. Si cenava quasi sempre insieme, male intorno a Cape Canaveral località diciamo pure quasi del tutto teorica, bene a Houston anzi a Galveston, sul  golfo del Messico, acque scure ma pesci sublimi. I due ad un certo punto si lanciavano nelle loro  romanze amatissime, nei loro pezzi d’opera sacri, Sergio Neri ed io assistevamo silenti e impotenti, comunque felici di poter guardare, soltanto guardare ma già ne valeva la pena, Maria Brosio, segretaria di Ruggero, impiegata alla Rai di New York, “ritrovata” e intervistata in questi giorni da un quotidiano italiano: anche lei a ricordare la sua Luna. Era bellissima, riservatissima, al primo “ciao” quasi altera. Ecco, voglio dire che in fondo si parlava di calcio anche là, in que giorni lì. E anche con gli stranieri. Se negli Usa  il nostro beneamatissimo gioco del pallone era ancora da scoprire (e forse manco ora lo hanno scoperto, gli uomini almeno, ché le donne sono campionesse del mondo), bastavamo noi giornalisti europei e sudamericani per portare anche presso la piattaforma di lancio dell’Apollo 11 i nostri problemi di tifo. I francesi, ricordo bene, erano fra i più interessati a parlare del calcio italiano che allora pativano assai. Su tutti ricordo Daniel Garric del Figaro, era oriundo siciliano e diceva di essere stato, negli Usa, il primo marito di quella che sarebbe diventata la prima moglie di Mike Bongiorno, se ricordo bene una soprano italoamericana. Daniel mi inquisiva sul nostro calcio e in cambio mi partecipava il suo credo profondo in un giornalismo destinato a essere regolato, dominato dal computer (ordinateur, in francese). Io lo ascoltavo e pensavo che fosse matto.

    Gran bei giorni, tanto sole e tanta Luna. Ricordo l’abbraccio con una giornalista colombiana quando l’Apollo partiva e noi, nella tribuna per la stampa, vicina alla rampa di lancio, tremavamo per le vibrazioni del razzo e del cuore. Ricordo di una mia puntata rapida (l’Apollo 11 era in viaggio) a Los Angeles dove c’era la sfida dell’atletica tra Usa e Urss, roba grossissima specie in tempo di guerra fredda, con deviazione a Las Vegas per ascoltare dal vivo la divina Barbara Streisand. Ricordo quando l’Apollo allunava, noi capivamo poco o niente dell’inglese gracchiato dei dialoghi fra i tre astronauti (Armstrong, Aldrin, Collins) e la Nasa, ci traduceva le frasi Ludina Barzini, giornalista dal cognome celebre, residente negli Stati Uniti, era quasi sempre il contrario di quello che credevamo di avere capito. Ricordo soprattutto la famosa lìte fra Ruggero Orlando lì e Tito Stagno a Roma per essere il primo ad annunciare il contatto con la Luna, e poi Armstrong col piede sul sacro suolo, ricordo che una collega di Garric mi passò un foglio in francese, con le indicazioni per capire, dal tipo di camminata sulla Luna, se gli astronauti cercavano una toilette… Ricordo che in Italia si era vicini alla ripresa del campionato di calcio e io non vedevo l’ora di tornare per riprendere la vera festa. E tante scuse alla Luna. 

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