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  • ​La storia del babbo Giuseppe che faceva gol dalla bandierina: dalla Juve alla Guerra

    ​La storia del babbo Giuseppe che faceva gol dalla bandierina: dalla Juve alla Guerra

    • Marco Bernardini
      Marco Bernardini
    Si chiamava Giuseppe, ma per tutti era semplicemente Pino. Toscano del Marginone, un pugno di case trai campi di granturco e lunghi filari di vite. Pane, olio e sale. La merenda dei ragazzini. Un fratello, Sergio, una sorella, Adilia. Virginia e Italo i genitori. Famiglia di grandi sportivi. Il patriarca, aveva corso anche il Giro d’Italia con Girardengo. Addirittura primo in una tappa a Montecatini. Quando scendeva dalla bicicletta, inseguiva le gonnelle. Troppe e la storia finì lì. La passione no, quella resisteva. Sergio, contaminato da Italo, tentò la strada del pistard. Bravo ma spericolato si fracassò cadendo al Motovelodromo di Torino, città dove la tribù si era trasferita per cercare la fortuna con la ristorazione. Il destino a Sergio aveva riservato altre scene. Sarebbe diventato il re indiscusso dello spettacolo in Italia. 

    Pino, bastiancontrario, detestava il ciclismo e adorava il calcio. Era bravo e talentuoso. Nella Juventus, dove giocava in quella che oggi sarebbe la ”Primavera”, allenatore e tecnici scommettevano su quell’ala destra che faceva gol direttamente dalla bandierina del corner. E lui, servendo ai tavoli del ristorante di famiglia, sognava di poter esordire un giorno nello stadio Comunale-Mussolini con addosso la maglia bianconera. Quei sogni si tramutarono in incubi sotto le bombe di una guerra che sconvolgeva il mondo.

    Pino smise i panni del giocatore per rispondere alla chiamata della Marina. Radiotelegrafista a bordo di un cacciatorpediniere che venne affondato davanti alle coste della Grecia. Catturato dai nazi, venne rinchiuso in un campo di concentramento nei pressi di Cracovia, in Polonia. Torino e la Juventus erano malinconici ricordi. E che buono era il pane con l’olio e il sale per chi, come lui e tutti gli altri prigionieri, doveva nutrirsi con bucce di patate.

    Furono audaci e fortunati in cinque, una notte. Riuscirono a fuggire. Pino trovò ospitalità nella cantina della cascina di una famiglia polacca. Mesi vissuti come un topo. Ma vivo e pronto per tornare a casa quando il macello sarebbe finito.

    Alla Juventus lo guardarono come fisse un fantasma. In effetti ci mancava poco. Pelle o ossa, in piedi per miracolo. Non bastava il suo sguardo di fuoco pieno di desiderio di riscatto. Ci sarebbe voluto tanto tempo per recuperare chili, forze e mente. Lui non potava aspettare. A casa c’era la moglie Anna che aspettava un bambino. Un padre deve lavorare e non può giocare. Sfogò i suoi rimasugli di passione in squadrette amatoriali, Brandizzo e Orbassano. Manon provò mai più a a segnare un gol dalla bandierina del calcio d’angolo. Pino era mio padre.

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