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  • La storia di Ansou Cissé: quando l'Italia per la 'razza' cancella amicizia e umanità

    La storia di Ansou Cissé: quando l'Italia per la 'razza' cancella amicizia e umanità

    • Fernando Pernambuco
      Fernando Pernambuco
    Una volta, in una civilissima e ricca nazione occidentale, di colpo in quel piccolo paese, successe qualcosa di molto strano. Due lavapiatti non si presentarono al solito ristorante, un imbianchino disertò l’appuntamento di lavoro e così altre quattro collaboratrici domestiche. Insomma una cinquantina di persone (molte in relazione al numero degli abitanti) non andarono a lavorare e nessuno avvertì. 

    Fra gli altri, anche il diciannovenne Ansou Cissé, capocannoniere della sua squadra, non si presentò all’allenamento. Era la prima volta. Strano per lui, il più preciso, il primo ad arrivare, l’ultimo ad andarsene. L’allenatore, preoccupato, lo cercò al telefono, ma non ebbe risposta. Seppe la verità dal portiere della squadra, che, trafelato, raccontò quello che era successo: aveva visto Ansou entrare in un autobus scortato dai soldati. Non era il solo, con lui c’erano anche molte altre persone: adulti, donne, bambini. Venivano tutti fatti salire su automezzi.

    Franco, così si chiamava il portiere (meglio non mettere il cognome) scoppiò in lacrime: l’avevano portato via, non si sa dove; avevano portato via il loro amico e non sapeva se l’avrebbero mai rivisto. Ansou, la loro punta di diamante, che proprio oggi doveva portare un suo conoscente “fortissimo, uno piccolo, col baricentro alla Messi…”. Ansou, coi genitori che dopo ogni partita ringraziavano tutti, anche i tifosi avversari, contenti perché il loro figlio poteva giocare, studiare, vivere in pace. L’allenatore s’attaccò al telefono, chiese informazioni e seppe che era tutto vero. Avevano portato via anche Siges di cinque anni, Arges di quattro, che frequentavano la scuola materna dove c’era anche suo figlio e Oussama, l’idraulico e Pinar sposata con Homer, che avevano due bambini. E anche tutti gli altri, il lavapiatti, l’imbianchino e quello che aiutava il meccanico dei motorini…Li portarono via, genitori da una parte, figli dall’altra, non si sa dove. 

    Brutto eh! Pensate che tempi abbiamo passato, quando  certe leggi sembravano fatte apposta per far soffrire, per cancellare, di colpo, tutto il bene che spontaneamente, gli abitanti di quella grande nazione e di quel piccolo paese erano riusciti a fare, accogliendo e integrando decine di poveracci, di disgraziati alla deriva!

    Pensate che bello, in particolare, il calcio come sport che accomuna, che identifica, che offre una piccola ragione di vita a chi fugge dalla morte. Pensate a quant’è importante un gioco, uno sport, capace, anche per una sola persona, di  fare tutto questo.

    Pensate quando,  anche in una “civilissima” nazione, si poteva, in nome di chi sa che (soldi? razza? disprezzo?) cancellare il bene e la convivenza, l’amicizia e l’umanità.

    Pensate se questo avvenisse, oggi, da noi. Oggi, no! Oggi sarebbe impossibile!

    Infatti, è avvenuto ieri l’altro, a Castelnuovo di Porto, provincia di Roma, Italia.

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