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  • Le due 'donne' di Riquelme: 'Il Boca la mia sposa, l'Argentinos mia madre'
Le due 'donne' di Riquelme: 'Il Boca la mia sposa, l'Argentinos mia madre'

Le due 'donne' di Riquelme: 'Il Boca la mia sposa, l'Argentinos mia madre'

  • Remo Gandolfi
    Remo Gandolfi
“Oggi è il 7 dicembre 2014.
Per chi come il sottoscritto è un hincha dei “Bichos Colorados” è un giorno che non potrà mai essere dimenticato.
Anche se di anni ne ho già più di 50 e se, come spero, dovessi camparne altrettanti !
Quante volte nella vita ci è capitato di ridere di felicità e contemporaneamente piangere per una grande tristezza ?
E’ successo oggi.
Oggi siamo tornati in Primera Division.
Negli occhi e nel cuore di tutti noi c’è ancora quel giorno di aprile di quest’anno quando un pareggio tra Olimpo e River ci condannò alla Seconda serie del calcio argentino.
Sono passati solo 8 mesi da quel giorno.
Ma sembravano non passare mai.
Oggi invece siamo felici.
Sapere che torneremo a giocare alla Bombonera, al Cilindro de Avellaneda o al Monumental non ha prezzo.
E sapere che qui, alla Paternal nel nostro “Diego Armando Maradona” torneranno a giocare i migliori calciatori del nostro paese.
Ma è anche un giorno triste, tristissimo.
Non solo per noi “Bichos”.
E’ un giorno triste per tutti coloro che amano il calcio.
Parlo di quelli che lo amano nella sua espressione più poetica, romantica e passionale.
Quelli insomma, che amano LA BELLEZZA.
Oggi è il giorno dell’addio al calcio di Juan Roman Riquelme.
L’abbiamo visto crescere proprio qui, più di 20 anni fa.
E non occorreva essere degli esperti per capire che il talento di questo ragazzo magro e timidissimo lo avrebbe portato lontano.
Non solo “lontano” da noi, dalla Paternal e dal “Diego Armando Maradona” il nostro piccolo ma accogliente stadio.
Lo hanno portato fino in Spagna.
Prima in una squadra dove volevano che fosse uno dei tantiLUI, Juan Roman Riquelme.
E poi in un’altra dove invece poteva essere LUI, l’unico, il leader, il “caudillo” … e dove per colpa di un calcio di rigore fallito non è entrato nella leggenda.
Quando a luglio di quest’anno iniziò a spargersi la voce del suo ritorno all’Argentinos Juniors nessuno ci voleva credere.
“Ma figurati se viene a giocare da noi in Segunda ! “El Mudo” è un tipo strano … ma mica è scemo !” era la frase più ricorrente nei bar, nelle piazze, negli uffici e nelle officine del nostro barrio de La Paternal.
Era semplice scaramanzia.
Ci speravamo tutti … ma avevamo una paura fottuta che questo sogno s’infrangesse da qualche parte prima di realizzarsi.
Io me lo ricordo bene Riquelme quando era qui con noi da ragazzino.
Non solo non mi perdevo nessuna partita della prima squadra (allora potevi andare in trasferta dove volevi, in qualunque stadio e se volevi stare lontano dai casini ce la facevi eccome !) ma non mi perdevo neppure le partite delle riserve, della “Quinta”, della “Sesta” e quando potevo neppure della “Settima” (che poi sono i ragazzi con meno di 16 anni) dei miei Bichos !
Lo ricordo bene quel ragazzino magro magro, che accarezzava la palla come se temesse di farle male e che già a 14 anni vedeva autostrade dove gli altri non vedevano neppure dei sentieri.
Però nonostante questa classe cristallina e questo talento così evidente faceva dentro e fuori dai team.
“Troppo gracile” dicevano i vari “Mister” quando aveva 13, 14 e 15 anni.
Così arriva il giorno in cui suo padre Jorge ne ha abbastanza di questo dentro e fuori dai vari team giovanili del figlio.
Tutti parlano del talento di Roman, sia nell’Argentinos che in altre squadre di Buenos Aires.
 
Solo che pare che proprio ai “Bichos” non sappiano apprezzarlo e riconoscerlo.
Affronta il responsabile del settore giovanile del club, Carlos Balcaza.
“Se mio figlio non vi serve lo porto via di qui” dice senza mezzi termini il papà di Juan Roman, primogenito degli undici figli avuti da Jorge e da Ana Maria.
“No. Suo figlio è bravo e da qui non si muove. Ha solo bisogno di crescere un po’ e di irrobustirsi” è la riposta di Balcaza.
Che immediatamente sposta il giovane Riquelme da “enganche” (il classico 10 argentino) a “volante”, il centrocampista con il numero 5 classico della tradizione argentina, colui cioè che imposta il gioco “dal basso” ponendosi davanti alla difesa.
Da quel giorno cambia tutto.
Ho visto con i miei occhi Juan Roman trasformarsi partita dopo partita.
Giocare da “5” voleva dire avere meno pressione fisica dagli avversari, più tempo sul pallone e possibilità di vedere il gioco a 360°.
Nel frattempo Riquelme cresceva fisicamente, diventava più forte, più consapevole.
Dopo pochi mesi era il leader riconosciuto del team.
Un leader silenzioso (in quello non è mai cambiato !) ma dare la palla a lui voleva dire “metterla in banca” come si diceva allora !
Nel 1995 i nostri ragazzi sono andati in Italia, per un torneo internazionale dedicato ad un grande allenatore italiano del passato, Nereo Rocco.
Chi era là e ha visto con i suoi occhi ci ha raccontato tutto.
I nostri ragazzi vinsero quel prestigioso torneo e Juan Roman era stato eletto il miglior calciatore del torneo.
Già, il 1995.
Quell’anno fu uno dei peggiori nella storia del nostro club.
Il nostro vecchio stadio demolito, non c’erano soldi nelle casse del Club e fummo costretti ad elemosinare un campo dove giocare.
In questo caos fu quasi scontato vedere il team retrocedere in Segunda Division e svendere per quattro pesos i nostri ragazzi migliori.
Toccò ovviamente anche a Riquelme.
Allora Giocava nella “Quinta” dell’Argentinos.
C’erano dei ragazzi formidabili in quella squadra.
Ruiz, Islas, Ledesma, Herron, Nicholas Cambiasso …
Ah se solo avessimo potuto tenerli con noi !
Ma Juan Roman Riquelme da Don Torcuato era di un’altra pasta.
Si diceva che sarebbe andato al River e qualcuno diceva che perfino il Barcelona aveva messo gli occhi su di lui.
Ma alla Paternal sapevamo tutti benissimo che c’era solo una squadra nella quale “El mudo” avrebbe voluto giocare: il Boca Juniors.
Non che avesse molta scelta ! Se fosse andato ai “Millionarios” probabilmente suo padre lo avrebbe ucciso !
Fu in una partita della “Quinta” nell’agosto del 1996 che ci accorgemmo che in tribuna a vedere Juan Roman si era scomodato addirittura Don Carlos Bilardo, l’allenatore del Boca, lo stesso che dieci anni prima aveva riportato il nostro calcio sul tetto del mondo.
Quella sera Roman giocò una partita sensazionale.
Si era irrobustito e mentre solo fino a poco più di un anno prima bastava un soffio di vento a fargli perdere equilibrio e pallone ora togliergli la palla dai piedi era diventata un’impresa assoluta !
Quando pochi mesi dopo lessi sul Clarin che Bilardo lo aveva inserito nei titolari per una partita con l’Union per il suo esordio alla Bombonera non potei resistere.
Comprai un biglietto anch’io e andai a quella partita.
Juan Roman non sembrava un ragazzo all’esordio.
Sembrava un veterano di 100 battaglie.
Non giocava ancora da “10” ma da mezzala sinistra, con il numero 8.
Costruiva gioco, si inseriva, distribuiva palloni con tranquillità e intelligenza.
Ogni corner e ogni calcio di punizione erano “roba sua”. Nessuno osava avvicinarsi.
Un paio di volte, ne sono sicuro, l’ho perfino sentito chiedere la palla a compagni di squadra più grandi di lui di 10 o magari 15 anni !
C’era gente intorno a me che sgranava gli occhi “Ma de donde viene este pibe ? Madre de Dios que pinta que tiene !”
Nell’intervallo tutti parlavano di lui.
“E’ mio nipote” dissi ad un certo punto.
Era una bugia ovviamente ma non ho potuto resistere ! In fondo era un po’ vero … ero come uno di famiglia.
L’avevo visto giocare almeno 50 partite !
“Beh, complimenti. Quel ragazzo ci sa fare davvero con la palla !”
Ma se nel primo tempo Roman aveva stupito … beh, nel secondo per poco non venne giù la Bombonera !
Due giocate lo fecero entrare nel cuore di ogni “bostero” presente quel giorno allo stadio.
La prima quando ricevuta la palla dal compagno Caceres finse di restituirgliela di prima invece di girarsi, puntare il cuore della difesa avversaria e quando ben tre difensori dell’Union provarono a chiudere su di lui “scaricò” il pallone quasi in stile cestistico ancora su Caceres che a quel punto si trovò solo davanti al portiere mettendo dentro il gol del definitivo due a zero.
La seconda credo che fece alzare dai seggiolini anche gli “hinchas” più attempati.
Ricevuto il pallone sulla sinistra, a 40 metri dalla porta dell’Union, Riquelme strinse verso il centro, saltò un avversario e giunto ad un paio di metri dall’area di rigore avversaria parve intenzionato a tirare in porta. Due difensori dell’Union si precipitano a chiudere su di lui ma Riquelme non tirò in porta.
Mise invece una palla apparentemente “alla cieca” alla sua sinistra dove stava arrivando di gran carriera il numero 11 Pompei il quale sparò un gran sinistro che si infranse però sull’esterno della rete.
… come Riquelme abbia potuto vedere il compagno quel giorno nessuno riuscì a capirlo.
Poi scoprimmo che “El Mudo” aveva anche un paio di occhi nella nuca …
Non sono più tornato alla Bombonera.
Mi avrebbe fatto troppo male vedere il nostro ragazzo diventare quello che è diventato e pensare a cosa sarebbe stato se fosse rimasto con noi.
Se con lui fossero rimasti i ragazzi di cui parlavo prima e gli altri arrivati dopo di lui come Esteban Cambiasso o Fabrizio Coloccini …
Sono stato l’ultimo a crederci quando nei bar, nelle officine o nei negozi della Paternal tutti giuravano che “El Mudo” sarebbe tornato a casa.
… anche se la prima cosa che facevo alla mattina era guardare il mio cellulare e vedere se c’era un messaggio di Christian Perez, mio grande amico e capo magazziniere del Club, sempre uno dei primi a sapere cosa succede nei Bichos.
Poi la notizia è arrivata davvero.
Juan Roman Riquelme tornava a casa.
Eravamo in 15.000 quel giorno di agosto a dare il benvenuto al nostro figliol prodigo.
Con lui c’era anche Christian Ledesma, come quasi vent’anni prima.
Fu una partita soffertissima.
Ci illudevamo che bastassero loro, Matias Caruzzo e Gaspar Iniguez a fare del Boca Unidos un sol boccone.
Invece fu una partita difficile, tesa e poco brillante.
Andammo vicini a soccombere più di una volta.
Arrivammo a poco più di quarto d’ora alla fine, con il risultato inchiodato sullo 0 a 0.
I nostri erano in dieci a difendere negli ultimi 20 metri.
In attacco c’era solo Roman.
Non certo perché fosse il contropiedista migliore del team !
… ma solo perché forse non aveva più tanta benzina in corpo …
Poi riusciamo a recuperare il pallone.
Quando Reinaldo Lenis però alza la testa nella metacampo avversaria c’è solo lui, Roman Riquelme.
Non ci sono altre alternative.
Roman riceve palla sul vertice sinistro dell’area.
Gli basta un tocco con l’esterno per evitare l’unico difensore avversario che lo contrasta.
Si porta la palla sul destro e tira.
Non è una delle sua conclusioni migliori ma la palla rimbalza davanti a Matias Garavano, il portiere del Boca Unidos, e lo trae in inganno.
E’ il gol della vittoria, nel giorno del suo rientro a casa.
Roman ne segnerà altri 4 nelle restanti 19 partite e farà tanti di quegli assist per i compagni che in alcune partite bravi ragazzi come Castillejos e Rinaldi ci sembravano Martin Palermo o Gabriel Batistuta.
E oggi, con questo pareggio contro il Douglas Haig, abbiamo riconquistato un posto in Primera.
Che è dove l’Argentinos Juniors deve stare.
Anche se Juan Roman Riquelme ha detto basta.
D’altronde lo disse molto chiaramente quando firmò per noi quest’estate.
“Non potrei mai scendere in campo alla Bombonera con i colori di un’altra squadra”.
Questo disse Roman.
E così sarà.
Oggi invece a fine partita ha solo detto che “il debito con l’Argentinos è saldato. Ora ho ricambiato quello che l’Argentinos ha fatto per me”.
Tutto vero.
Ora però non andartene più da qua.
Ti vogliamo qui, alla Paternal, per sempre.
La formula Roman, sceglila tu.

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