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  • Liliana Segre: 'Basta odio nello sport, non abituiamoci ai buu razzisti'

    Liliana Segre: 'Basta odio nello sport, non abituiamoci ai buu razzisti'

    La senatrice a vita Liliana Segre, 89enne testimone della Shoah deportata a Auschwitz, ha dichiarato in un'intervista alla Gazzetta dello Sport: "Io l'odio l'ho provato sulla mia persona, non è che ne ho sentito parlare o che sono la buona vecchietta contro l'odio. Io l'ho provato in prima persona, so che dalle parole dell'odio si passa ai fatti perché di questi io e la mia famiglia siamo stati vittime". 

    "La reazione forte contro le braccia tese in Bulgaria-Inghilterra a Sofia mi ha fatto piacere. Dico che di sport so poco, ma vedo tante cose, anche quelle buone, i bambini negli stadi, certi gesti fraterni. In fondo il calcio è lo specchio del mondo che c’è fuori, nel bene e nel male". 
    "Il calcio femminile? Io sono senz'altro una donna che combatte per le donne, le ho viste negli anni molto sacrificate, mi spiace non avere una nipote femmina. Ne ho tre maschi, sarei stata una nonna combattente al suo fianco". 

    "Come contrastare i buu razzisti? La chiave è l'indifferenza. Quando noi eravamo nei campi di sterminio per la colpa di essere nati, eravamo tutti bianchi ma l'indifferenza del mondo intorno è stata totale, non eravamo di un colore diverso ma era come se lo fossimo. Oggi il Mediterraneo è la tomba di tante persone di colore che affogano, altri finiscono nei campi di detenzione in Libia. La loro morte o la loro non vita, nel secondo caso, è investita dalla stessa indifferenza di allora, non importava a nessuno dei lager di sterminio, non importa in realtà a nessuno di chi affoga nel Mediterraneo. C'è sempre un capro espiatorio e deve morire, deve essere ingiuriato, deve essere ritenuto diverso da te. L'odiatore è questo, è un indifferente. Se invece si sceglie da che parte stare per questi personaggi è più difficile". 

    "C'è una tale differenza tra la parola sport e la parola odio che se quelli che si definiscono sportivi nel senso di appassionati avessero dentro di loro quello spirito di cui parlano, e che è agonismo quindi il contrario dell'odio, si renderebbero conto di come non possano esistere gesti come l'insulto al calciatore di colore. Per me ha significato riportare parole che credevo dimenticate, cose che ho vissuto per la colpa di essere nata, non ero di un altro colore ma era come se lo fossi. Se adesso ancora spero che di questo si legiferi, si parli, significa che questo mi ha messo in un tale stato di preoccupazione per il futuro, per i miei nipoti, per i giovani che si abituano a questo linguaggio. E se si abituano poi cosa sarà di loro? Tutti dovrebbero combattere le parole d'odio perché sono ovunque e riguardano tutti: allo stadio, per la strada, al supermercato. Così poi si arriva allo sfogo corale dentro gli stadi e pensano di poter andare lì per potersi liberare e a quel punto non resta che sperare che ci siano i Daspo a tenerli fuori per anni". 
     

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