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  • Maldini, i fischi di San Siro e una notte da incubo che non aveva mai conosciuto
Maldini, i fischi di San Siro e una notte da incubo che non aveva mai conosciuto

Maldini, i fischi di San Siro e una notte da incubo che non aveva mai conosciuto

  • Marco Bernardini
    Marco Bernardini
Conoscendo piuttosto bene Paolo Maldini e la sua sensibilità di uomo pensante, non faccio fatica a immaginare il suo stato d’animo attuale dopo lo tsunami di fischi e di contestazioni assortite che hanno travolto anche lui seppure in maniera trasversale nel corso dell’umiliante prestazione del Milan contro la Fiorentina. L’ex capitano e ora responsabile, insieme con Boban, della sala operativa rossonera nel corso di tutta la sua memorabile carriera non aveva mai dovuto subire, neppure lontano da San Siro, una simile umiliazione se non in un’occasione molto particolare. Il giorno della sua ultima partita casalinga della sua storia calcistica, alla fine della gara ricevette tutta una serie di insulti dalla curva ultras mente il resto dello stadio lo applaudiva come giustamente meritava. Un evento inatteso, ma neppure troppo, in parte spontaneo perché tra il capitano e gli oltranzisti non vi era mai stato feeling e in parte organizzato dalla cabina di regia dove a dare le carte era Galliani. Maldini ci rimase male ma non più di tanto perché consapevole del fatto che la sua figura, letta al futuribile, dava parecchio fastidio al delfino di Silvio Berlusconi il quale, peraltro, non si era comportato in maniera troppo elegante con papà Cesare obbligandolo ad allontanarsi dalla società che pure era casa sua.

Ma un conto è dover aver a che fare con manovre politiche e con intrallazzi di Palazzo, cosa ben differente è ridursi ad assistere alla fuga del pubblico mentre ancora si sta giocando inorridito dall’inconsistenza della squadra rossonera. A quel punto e cioè all’inizio di una notte da incubo mai vissuta prima, Paolo Maldini si sarà certamente posto qualche domanda. Una su tutte: ma chi me lo ha fatto fare? Un interrogativo ben più che legittimo il quale fa capo ai dubbi manifestati dallo stesso ex campione nel momento in cui doveva prendere una decisione nevralgica per la sua vita futura da manager. Accettare oppure no la proposta di incarico che il gruppo Elliott e in particolare Paul Singer gli stavano sottoponendo in visione per la rifondazione del Milan. Una sfida in piena regola che una volta presa sulle spalle non consente possibilità di ritorno. Paolo Maldini, dopo averci ragionato sopra per il tempo necessario, accettò e il popolo rossonero dimostrò di gradire assai quella scelta che, tra le altre cose, andava a cementare ancora di più il legame storico già esistente tra lo stesso Milan e la dinastia dei Maldini.

La realtà, talvolta, non tiene conto dei sogni e dei buoni propositi e la contestazione scoppiata l’altra sera al Meazza non soltanto nei confronti del tecnico Marco Giampaolo ma dell’intera dirigenza dimostra per l’ennesima volta quanto sia complicato dover “cambiare mestiere” anche se si possiedono i requisiti giusti sia per intelligenza e sia buona volontà. Francamente volendo stilare un elenco di ex grandi giocatori i quali passarono dal campo alla scrivania con successo trovo grosse difficoltà. Giampiero Boniperti se la cavò alla grande, sotto l’ombrello di Gianni Agnelli, ma è anche l’unico il quale sia riuscito nell’impresa. Ci provarono Sandro Mazzola e Gianni Rivera. Il primo con scarsi risultati e in secondo affossato ancora prima di poter cominciare. Gli esempi di Giacinto Facchetti, con Massimo Moratti, e poi oggi quelli di Antognoni e di Nedved sono atipici rispetto alla valenza che Paolo Maldini dovrebbe far pesare nella gestione del Milan non come bandiera ma come protagonista operativo. Ecco perché l’amarezza, ciò che sta accadendo potrebbe provocare una revisione nello stesso Paolo. Del resto sarebbe una cosa molto trite se la “dinasty” dovesse interrompersi in maniera crepuscolare anche perché all’orizzonte i due figli del “capitano”, Daniel e Christian, lanciano segnali di luce.

@matattachia

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