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  • Montella non vince mai, Di Francesco scottato: predestinati o provinciali, chi sono davvero?

    Montella non vince mai, Di Francesco scottato: predestinati o provinciali, chi sono davvero?

    • Furio Zara
      Furio Zara
    Il calcio consuma tutto molto in fretta. Ogni volta che un allenatore si siede su una panchina sa che dovrà allacciare le cinture di sicurezza. Fa parte del gioco. Il deludente inizio di campionato di Fiorentina e Sampdoria ci spinge a fare qualche riflessione sul percorso professionale di Vincenzo Montella ed Eusebio Di Francesco. Entrambi fino ad un paio d’anni fa venivano considerati tra gli allenatori emergenti del nostro campionato, tra i più brillanti, portatori sani di una nuova idea di calcio. Si sono guadagnati la nobiltà del nostro calcio (Milan, Roma), per poi tornare nella provincia di prestigio (Fiorentina, Sampdoria), scendendo però di livello.

    Se questo è un passo indietro per prendere la rincorsa o si tratta invece della loro reale dimensione lo scopriremo nel tempo. Di certo possiamo dire che si tratta di due allenatori che di fronte a realtà nuove (lo è la Fiorentina stravolta dalla rivoluzione di Commisso e lo è anche la Sampdoria di Ferrero perennemente in balia di un cambio di proprietà sempre rimandato) ci diranno di che pasta sono fatti. La Fiorentina è un’incognita, la Sampdoria una squadra incompleta: Montella e Di Francesco hanno il compito di lasciare una traccia. Non sarà affatto facile, è questa la sentenza delle prime due giornate di campionato.

    Da quando è alla guida della Fiorentina, tra l’anno scorso (7 gare, 2 pareggi e 5 sconfitte) e quest’anno (2 gare e 2 sconfitte) Montella non ha ancora vinto una sola partita di Serie A. Complessivamente 9 panchine, 7 sconfitte e 2 pareggi. Un ruolino di marcia allarmante. Unica soddisfazione in Coppa Italia, col Monza (3-1): poca roba. La sua carriera ci dice di un promettente debutto con la Roma (da subentrato centrò il 6° posto), di un convincente anno a Catania (11°, salvezza con largo anticipo), di tre ottimi quarti posti a Firenze, utili a timbrare ogni volta il pass per l’Europa. Carriera in ascesa, giudizi della critica entusiastici. A 41 anni - estate 2015 - Montella sembrava pronto per il salto di qualità definitivo. E invece: dopo il dimenticabile e soffertissimo l’anno alla Sampdoria, ecco il Milan. Buona la partenza, scoraggiante l’arrivo. Montella mette in bacheca la Supercoppa italiana vinta a Doha, centra il 6° posto, riporta il Milan in Europa dopo tre anni e mezzo di assenza. Ma nel novembre del 2017 viene esonerato (al suo posto quel Gattuso di cui si parla ora a Firenze come suo possibile sostituto) e acceso dalla frenesia di tornare subito in campo dopo un mese accetta l’offerta del Siviglia: scelta sbagliata, finisce infatti con un altro esonero. Il resto è cronaca, con il ritorno alla Fiorentina, una fase di passaggio (con i Della Valle), un nuovo progetto (con Commisso), una squadra da rifondare completamente. E i soliti dubbi: è in grado Montella di dare un’impronta decisa? Qual è il vero Montella? Quello tosto, convincente, brillante della prima esperienza a Firenze o quello invece sconfortante e quasi remissivo che tra Sampdoria, Milan e Siviglia pare aver disperso la sua verve?

    Quando il 10 aprile 2018 la Roma batteva 3-0 il Barcellona e guadagnava la semifinale di Champions, Eusebio Di Francesco era - a detta di tutti - l’allenatore del momento, l’italiano in grado di giocarsela alla grande in Europa, il tecnico astuto e moderno che sapeva leggere le partite come pochi altri. Poi - anche lì - qualcosa è andato storto. Quella Roma aveva già ottenuto il massimo (Difra aveva chiuso il campionato precedente al 3° posto), il resto è stato un lento declino. Fatale l’eliminazione - agli ottavi - dalla Champions League, contro il Porto. Difficile da giustificare il «cappotto» del 7-1 in Coppa Italia contro la Fiorentina, una ferita la sconfitta nel derby. Con Monchi che ha provato a difenderlo fino all’ultimo, Di Francesco ha pagato la poca stima che di lui aveva James Pallotta e soprattutto lo «strappo» con lo spogliatoio dopo il derby, in una stagione che - tra un addio consumato (Totti) e uno in divenire (De Rossi) - per la Roma ha fatto da spartiacque tra il passato e il futuro. L’esonero (a marzo 2019) è stato inevitabile. La sensazione è che Di Francesco abbia pagato per tutti. La scelta della Sampdoria è una nuova scommessa, per un tecnico che - dopo gli anni in ascesa da Sassuolo a Roma - è ripartito per cercare di ritrovarsi e ricandidarsi ad alti livelli.

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