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  • Addio Nicolè, il più giovane capitano azzurro e uomo della prima stella con la Juve
Addio Nicolè, il più giovane capitano azzurro e uomo della prima stella con la Juve

Addio Nicolè, il più giovane capitano azzurro e uomo della prima stella con la Juve

  • Marco Bernardini
Sono passati sessantadue anni da allora che ne avevo appena dieci, eppure non esito un secondo a elencare la formazione di quella Juventus. Mattrel, Corradi, Garzena, Emoli, Ferrario Colombo, Nicolè, Boniperti, Charles, Sivori e Stivanello. Furono quei ragazzi e cucirmi addosso la passione per il calcio. Se ne sono andati quasi tutti, ma ciascuno vive nella mia memoria come protagonista di un meraviglioso ed eterno presepe laico. Ieri notte un'altra "statuina" di quel mondo fiabesco è stata trasferita da questa terra a chissà dove. Bruno Nicolè ha raggiunto i suoi compagni per riprendere a giocare con loro. Un pezzettino importante della mia vita se ne è andata con lui. 

Il più giovane tra tutti i calciatori italiani della storia che abbia prima segnato e poi giocato con la fascia di capitano nella Nazionale azzurra. Aveva appena 18 anni quando a Parigi incantò il pubblico segnando due gol meravigliosi, consentendo all'Italia del ct Gipo Viani di pareggiare 2-2 l'amichevole con la Francia. Era il ragazzo più prezioso del calcio italiano. Era il fritto del genio di Nereo Rocco, il Paron, che lo aveva scoperto e lanciato appena sedicenne nel Padova nel 1956 suscitando l'interesse di Umberto Agnelli, allora presidente bianconero, che pur di averlo pagò una cifra astronomica per quel tempo con in più il prestito di Kurt Hamrin. Gianni Brera lo paragonò a Piola, il Quartetto Cetra gli dedicò una canzone. 

E proprio sulla maglia della Juventus venne cucita la prima Stella alla prima delle sei stagioni che Nicolè disputò alle dipendenze della Signora. Una storia paradossale e anche contrastata quella tra il ragazzo che era stato eletto come fenomeno di tutti i tempi e la squadra bianconera. Nicolè era un centravanti. Anzi era il centravanti. Ma purtroppo per lui nella Juventus c'era un gigante gallese, John Charles, che ai difensori metteva paura soltanto a guardarlo malgrado fosse un "bignè" di uomo che non avrebbe fatto male a una mosca. Sicchè Nicolè venne relegato all'ala deastra con la maglia numero 7, lontano da quell’area che era la sua zona di caccia preferita. Nonostante ciò, dopo un disorientamento iniziale, si adattò in quel ruolo per lui un poco misterioso e divenne il "cocco" dei compagni, specialmente di Omar Sivori il "profeta" di quella Juve. 

Aveva un grande nemico, Bruno Nicolè. Il suo fisico. Cioè un metabolismo particolare che lo portava a ingrassare anche se manteneva una dieta molto rigida e ben personalizzata. Ciò, comunque, non gli impedì di conquistare tre scudetti, due Coppe Italia e una Coppa della Alpi. Né di partecipare alla storica patita di Coppa del Campioni a Madrid, dove la Juventus battè il Real per 1-0 con gol di Sivori. E, anche piazzato sulla fascia destra, riuscì a segnare 65 reti nel corso delle stagioni trascorse in bianconero. Fu Vittore Catella, il nuovo presidente della Juventus, a sbarazzarsi di lui cedendolo alla Roma in cambio di Menichelli. Fu una grande amarezza per Nicolè che, dopo quattro anni, lasciò definitivamente il calcio. Aveva appena 27 anni. Una carriera vissuta e divorata in un lampo. Ma il campione non svanì. Anzi. Dal pallone alle palestre e alle lavagne. Per insegnare ai ragazzi che cosa significa per davvero lo sport e non soltanto il calcio. Un maestro di vita per tanti giovani che oggi lo salutano e lo ringraziano. Io con loro. 

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