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  • Scalfari compie 96 anni: il comandante che si arrese alla Nazionale. E all'avvocato Agnelli chiese una Fiat con ruote quadrate...

    Scalfari compie 96 anni: il comandante che si arrese alla Nazionale. E all'avvocato Agnelli chiese una Fiat con ruote quadrate...

    • Franco Recanatesi
    ​Eugenio Scalfari compie oggi, 6 aprile 2020, 96 anni. Non sono uno scherzo. E neanche è uno scherzo la sua mente lucida e illuminata che gli consente, alla sua veneranda età, di continuare a sedere a cassetta schioccando la frusta. Lo conosco da 44 anni, da quando mi accolse nell’incerta scialuppa-pirata di Repubblica, che nell’arco di dieci anni sarebbe diventata la nave-pilota del Paese. Non è questo il momento di rifare la storia dei suoi successi, già abbondantemente illustrata, parrebbe un coccodrillo anziché una festosa celebrazione. Però voglio ricapitolare in breve, brevissimo, la sua figura a vantaggio di chi, fra coloro che stanno leggendo, non abbia profonda conoscenza del suo ruolo e del suo ascendente nella nostra professione e nella vita del Paese.

    Scalfari, per sua ammissione, è un illuminista libertino, con un amore smisurato per la vita e l’intelligenza. I "padri" che l’hanno indirizzato sono di stampo francese. Eugenio ha incorporato lo scetticismo di Montaigne e l’illuminismo di Diderot e di Voltaire, con i quali avrebbe voluto vivere nel 700 - afferma Bernardo Valli sull’Espresso - la tratta più esaltante e intellettuale della modernità. Nessuno di loro ha mai raggiunto i 96 anni di età. Montaigne si è spento a 59,Diderot a 71, Voltaire a 84. All’inizio della sua avventura a Repubblica, Scalfari ne aveva 52, era un uomo aitante, imbellito da una barba folta che ancor più gli conferiva carisma e soggezione, affatto insensibile sia alle discussioni politico-filosofiche del caffè Greco con Flaiano, Guttuso, Moravia e altre menti eclettiche, sia al profumo femminile che riempiva i caveau di via Veneto, dove con l’amico Sandro Viola davano prova di abilità nel charleston e nella rumba.

    L’impresa di Repubblica fu la sua follia d’oro. Altre ne aveva tentate, persino di fare un quotidiano in tandem con Indro Montanelli, che sarebbe come mischiare la panna con il prosciutto. Per questo mi piacque subito, perché sapeva comporre miscele esplosive, solo apparentemente contrastanti: impegno e divertimento, rigore e cazzeggio, egocentrismo e generosità, tolleranza e durezza, amore e indifferenza. Sedentario e gran ballerino. Un liberal popolare e snob. Padre premuroso e amante passionale. Docile come un labrador, aguzzo come un lupo. Ha cambiato il mondo del giornalismo, 'professione crudele che comporta un po’ di magia, uno show per incantare il pubblico'. Le sue parole lasciano spesso trasparire la ricerca della ribalta. La modestia non è esercizio che gli appartenga, così come ai grandi della storia. Napoleone diceva che la modestia è solo l’arte di incoraggiare gli altri a scoprire quanto sei importante, Goethe che solo i poveracci sono modesti. 

    Ha sempre avuto il merito, però, di trasmettere agli altri la sapienza, l’esperienza, il ragionamento, lo studio. Il giornalismo è sì una professione crudele, ma richiede vocazione. Di entrare nella vita degli altri, a cominciare da quelli che detengono il potere. Se non c’è la vocazione – dice Scalfari – inutile provarci. Il maestro ha trasformato una timida scommessa in un successo mondiale, perché mai un quotidiano in soli dieci anni ha raggiunto il primato nel proprio Paese. Attirando attorno a sé le migliori firme in circolazione (i Bocca, Pansa, Biagi, Pirani, Aspesi, Valli, Brera) e allevandone delle nuove. Un bravo comandante si circonda di bravi soldati. Meglio se più bravi di lui. Un modesto comandante sega le gambe a chi gli fa ombra

    Da Repubblica in poi – nata 44 anni fa – il giornale ha assunto un aspetto diverso, non più un notiziario ma una voce, un momento di riflessione, una spinta. L’ho visto vacillare solamente negli anni del terrorismo, quando Repubblica finì nel mirino delle Br e gli fu chiesto di decidere della vita o della morte del giudice D’Urso. Chiese aiuto a Beethoven. Di lui apprezzo la facoltà di cambiare idea. 'Solo un ottuso rimane immobile sulle proprie idee. Per esempio, ritornando sui suoi passi dopo avere immaginato Repubblica senza sport né cronaca. Nel 1978 fui mandato in Argentina per i Mondiali di calcio solo perché Scalfari aveva acconsentito ad una richiesta del suo vice Gianni Rocca. Scrivevo un pezzullo al giorno. Accadde poi un fatto decisivo. Eugenio aveva organizzato una cena. C’erano Sandrino Viola, Enzo Siciliano e un bel po’ di cultura romana. Ma ad un tratto, il padrone di casa rimase solo. O forse al tavolo con qualche signora. Gli altri erano ammassati nel salotto davanti al televisore a tifare per l’Italia contro l’Argentina. Scattò la molla. Scalfari mi chiamò: "Franco, da domani una pagina sui Mondiali. Anche una e mezza". Nacque così lo sport di Repubblica, che io avviai filtrando volontari di passaggio come Oliviero Beha, Carlo Marincovich, Emanuela Audisio, Gianni Mura e poi, passando ad altri incarichi, consegnai nelle mani sapienti di Mario Sconcerti che formò lo squadrone dei Brera, Clerici, Fossati.

    Scalfari ha avuto anche dei giri di valzer politici. La passionalità del carattere lo portò a invaghirsi di Ciriaco De Mita, che dopo Berlinguer era un bel salto. Piovvero critiche anche dall’interno del suo giornale. Ma lo criticano anche oggi per avere "scoperto" Giuseppe Conte, incensare l’amico Papa Francesco e ricordare di non essere un ateo ma un "non credente". Qualunque grande della storia (e neanche i nemici avveduti possono negare la grandezza intellettuale) viene sottoposto al giudizio universale. Ricordo anch’io momenti di non approvazione delle sue scelte politiche o professionali, riconoscendogli però un respiro sincero e democratico in ogni sua azione, oltre ad una assoluta libertà intellettuale il cui manifesto – a mia sensazione – sta nell’incontro che alla fine degli anni 60 ebbe con Gianni Agnelli

    L’Avvocato era infastidito da certi articoli dell’Espresso che a suo giudizio avrebbero danneggiato la Fiat. "Lei sa quale danno mi sta arrecando", disse Agnelli. "Non posso immaginare", mentì Scalfari. "E’ opinione diffusa, falsa ma lo è, che io abbia una partecipazione o comunque sia ispiratore del gruppo Espresso e quindi anche della sua inchiesta sul Sifar". "Ma figuriamoci". "Cerchi di capire, Scalfari, io sto ricevendo un danno gravissimo". "Beh, capisco… Quindi io dovrei interrompere questa inchiesta". "Sì, dovrebbe". "Potrei anche farlo… Però vorrei una contropartita". "Mi dica, mi dica". "Vorrei una delle sue automobili". "Mi dica il modello e gliela farò recapitare nel giro di pochi giorni. Lei, Scalfari, è una persona intelligente e comprensiva". "Però la vorrei un po’ modificata". "Modificata?". "Sì, una modifica la vorrei proprio". "Va bene, gliela facciamo fare. Di quale modifica si tratta?". "La vorrei con le ruote quadrate".

    Eco, quando Eugenio mi confidò questo episodio mentre preparavo il libro La mattina andavamo in piazza Indipendenza, che racconta i primi gloriosi anni di Repubblica, lo abbracciai perdonandogli ogni peccato. Al compimento del novantaseiesimo anno di una vita intensa e varia, solo il fisico mostra qualche segno dell’età. Il suo spirito è immutato, la sua mente illuminata, lucida e flessibile come rivelano i suoi articoli domenicali. Lo sorregge una straordinaria capacità mnemonica e una fiducia nell’uomo e nel futuro del mondo. Lo sorregge la profonda cultura storica. 'Un deposito, questo è il passato. Sta nella memoria, vive nella memoria. Ma non è un cimitero'. Buon compleanno, caro Barbapapà, ci vediamo fra cent’anni.

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