Calciomercato.com

  • STORIE MONDIALI: il dramma di Barbosa, simbolo del Maracanazo

    STORIE MONDIALI: il dramma di Barbosa, simbolo del Maracanazo

    • Furio Zara
    Maracanazo. Non aprite quell’incubo. Maracanazo, cioè Moacir Barbosa. Il portiere del Brasile. Di quel Brasile che nella finale mondiale del 1950 sprofondò nell’abisso senza più riuscire a risalire. Brasile-Uruguay, al Maracanà. Più di 200.000 brasiliani stipati ovunque, arrampicati fin sulle nuvole. Se riguardate sulla Rete le foto o i filmati dell’epoca, beh, fanno impressione. La gente è stesa accanto alle panchine.

    Al Brasile per laurearsi campione del mondo - e sarebbe la prima volta - basta un pareggio. Lì dentro c’è un carnevale pronto ad esplodere. Ripresa iniziata da un paio di minuti, segna Friaca, Brasile in vantaggio. Il destino è amico di chi è pronto alla festa. Ne mancano ventiquattro, di minuti, quando Schiaffino fa 1-1. Fermi tutti. Se finisce così il Brasile è campione del mondo.

    Ma quel gol è una coltellata al cuore. E’ l’inizio della fine. A dieci minuti dalla fine Ghiggia segna il gol della vittoria, lo fa con un tiro che Moacir Barbosa calcola male, e infatti gli passa sotto la pancia e finisce in rete. Il grande Schiaffino, la luce dell’Uruguay, disse che quel giorno - in quel preciso momento in cui segnò Ghiggia - allo stadio sentì qualcosa di assoluto e terribile, qualcosa che «non era rumore, era il silenzio». Tragedia nazionale. Il Brasile, l’intero Paese, smette di respirare. E’ un attimo, ma durerà in eterno. Maracanazo. Il capitano dell’Uruguay, il mitico Obdulio Varela, raccontò che quella sera, passeggiando per le strade di Rio, era entrato in un bar e aveva visto decine di persone piangere senza sosta. Si era fermato con loro, per consolarle.

    Ma al Brasile serviva un capro espiatorio. La vergogna di quella disfatta finì sulle spalle di Moacir Barbosa. Che fu condannato dalla sua stessa gente, e non riuscì più a reggere il peso dell’onta nazionale. Raccontò un giorno di molti anni dopo che la gente per strada lo additava. Dicevano: «Quello è l’uomo che ci ha fatto perdere il Mondiale». Lui abbassava la testa e tirava dritto. Continuò a fare il suo mestiere, intrappolato per sempre tra i pali di una porta che lo inghiottiva, ogni giorno di più. Ma era come se il tempo si fosse fermato a quel momento in cui il pallone scagliato da Ghiggia gli era passato sotto la pancia. Vaglielo a spiegare al mondo che un portiere ogni tanto para e ogni tanto no, vaglielo a spiegare. Moacir si sentì abbandonato da tutti. Cadde in depressione. Ghiggia mise il dito nella piaga: «Solo tre persone hanno zittito il Maracana: io, il Papa e Frank Sinatra». Quando smise con il calcio giocato, si ritirò dalla vita pubblica. Morì a 79 anni, nell'aprile del 2000. E’ seppellito nel cimitero di Moraia da Grande Planicie, a Praia Grande, nello Stato di San Paolo. Non è mai stato perdonato. Sono passati quasi settant’anni dal Maracanazo e il nome di Moacir Barbosa evoca ancora fantasmi che non se ne vogliono andare.

    Altre Notizie