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  • Trap80 auguri/3: Moreno e la Corea, col Var avresti un Mondiale in bacheca
Trap80 auguri/3: Moreno e la Corea, col Var avresti un Mondiale in bacheca

Trap80 auguri/3: Moreno e la Corea, col Var avresti un Mondiale in bacheca

  • Giancarlo Padovan
Eravamo in Giappone, ad una settimana dall’inizio della Coppa del mondo del 2002. Giovanni Trapattoni si fece portare un caffè e cominciò a parlare di cosa avrebbe fatto per arrivare in forma alla partita inaugurale del torneo dell’Italia. Era carico, fiducioso, ottimista. Aveva una buona squadra, il girone non era complicato (infatti passammo nonostante una sconfitta con la Croazia), le aspettative erano inversamente proporzionali al tempo che mancava all’esordio. Meno ne rimaneva e più crescevano.

Il c.t. è sempre stato una persona positiva, non ha mai avuto paura delle responsabilità, ha creduto fermamente nel lavoro. Io lo ascoltavo ammirato. Sia perché da chi vede il calcio in maniera diversa dalla propria c’è sempre da imparare, sia perchè sarebbe stato impossibile non provare empatia per un uomo solo (un c.t. è un allenatore più solo degli altri) nel momento supremo che precede l’entrata in scena. Così decisi di fargli una domanda perché, nonostante il suo buonumore, c’era qualcosa che non mi tornava nel suo discorso. Alzai la mano e parlai. “Scusa mister, ho seguito tutto il ragionamento che hai fatto e ovviamente lo condivido. Ma per realizzare tutto quello che hai detto servirebbe tempo, almeno un paio di settimane e tu non ce le hai’”. Mi guardò complice, stiracchiò un sorriso sghembo e mi fece il complimento più bello che abbia mai ricevuto in tanti anni di lavoro. “Giancarlo, si vede che ora fai anche l’allenatore e mi hai beccato. Per riportare in condizione la squadra serve il tempo che mi manca”. Anche se mi fece piacere, la risposta non mi fece gonfiare il petto, ma mi portò a riflettere. Perché mai un allenatore che di lì a poco si sarebbe giocato la reputazione al Mondiale, non invocava almeno le attenuanti generiche come avrebbe fatto anche il meno celebrato dei suoi colleghi? Perché non ci spiegava che i miracoli erano impossibili perfino a lui che aveva una sorella suora?

Mi diedi subito una risposta: Giovanni Trapattoni non cercava né alibi, né scuse, perchè sapeva che di sicuro non avrebbero aiutato i suoi calciatori a essere più forti, perché non gli piaceva gelare l’entusiasmo che stava crescendo intorno alla sua Nazionale, perché sapeva che il mestiere di c.t. era questo e non c’è niente da fare. L’arbitro Moreno doveva ancora venire, gli aiuti alla Corea del Sud che ci eliminò con quello che allora si chiamava golden gol (cioé l’interruzione dei tempi supplementari con la rete di una delle due contendenti) non erano ancora diventati una costante. Oggi capita molte volte che io mi chieda  come finirebbe quella partita se la si potesse rigiocare oggi con l’applicazione del Var. Certamente quel Mondiale sarebbe stato diverso e, chissà, forse avremmo una stella in più sulla maglia azzurra.

A distanza di diciannove anni il Trap è, invece, senza rimpianti. Come mi disse più di una volta, “sono un uomo fortunato. Come quello che in macchina entra in autostrada e la sbarra gli si alza sempre”. Ma senza il telepass - cioé passione, studio e intuizione - la sbarra resta abbassata e si andrebbe a sbattergli contro. Tanti auguri carissimo mister, anche grazie a te ora so cosa significa “il pallone salta come un coniglio”, versione letteraria dell’espressione “la palla è rotonda”. Sai cos’è, mai dove va e cosa ti lascia. 
 

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