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  • 1968, calcio e pugni chiusi: Vendrame, la poesia al potere

    1968, calcio e pugni chiusi: Vendrame, la poesia al potere

    • Marco Bernardini
    Sino a qualche tempo fa era ancora possibile incontrarlo, prima che facesse sera, davanti al cancello di ingresso del piccolo camposanto dove riposano le anime leggere del piccolo paese friulano di Casarsa delle Delizie. Il luogo dove era nato anche lui, settant’anni fa. Oggi non più. Il perché lo ha scritto in uno dei suoi ultimi libri. “Aver visto che, con il trascorrere del tempo, anche un immenso personaggio come lui è stato quasi dimenticato sepolto in una tomba sulla quale crescono le erbacce mi ha spinto a pormi una domanda. Cosa accadrà a me?  E la risposta mi ha fatto cadere in depressione”.

    Il lui “dimenticato” è Pier Paolo Pasolini, una delle più grandi e fertili menti che il nostro Novecento ebbe la fortuna di avere le cui spoglie giacciono, accanto a quelle della madre, nel cimitero di Casarsa. L’autore di quella riflessione dolente, ancora vivente anche se “desaparecido” per autonoma scelta è Ezio Vendrame, uno fra i più grandi talenti ma teorici del calcio italiano del Sessantotto in avanti. Gridavano quelli del Movimento Studentesco: “Immaginazione al potere”. Lui, in campo specialmente con le maglie del Vicenza e del Padova, rappresentava l’archetipo fatto pratica di quel fantastico e un poco onirico slogan pensato in funzione di un mondo migliore.

    Oggi e ormai da tanti anni Vendrame è scrittore e poeta oltreché lupo solitario un poco come il romanziere Corona. Ma la trasformazione da calciatore a letterato, in entrambi i casi naif, non è stata né casuale e né difficoltosa. Il suo modo di giocare e di comportarsi da giovane si sviluppava in metrica o in prosa esattamente come è accaduto in seguito quando dal pallone è passato a carte e penna. Un personaggio emotivo il cui fine era quello di emozionare perché soltanto a quel modo la vita ha un senso compiuto. E allora, nel Padova, eccolo prendere la palla nell’area avversaria e puntare dritto verso quella dove si trova il suo compagno portiere. Scarta, uno a uno, i giocatori che hanno indosso la sua stessa maglia, evita l’uscita dell’amico e ferma il pallone sulle linea della porta. Poi torna indietro e va a fare un gol buono. Quel pomeriggio e in quel momento a uno spettatore debole di cuore venne un coccolone. “Incolparono me dicendomi che ero un matto. Ma cosa poteva essere il calcio senza emozioni vere e anche estreme?”.

    A Vicenza lo ricordano ancora oggi con i due piedi sopra il pallone e la mano destra dritta sulla fronte come un valoroso guerriero pellerossa che osserva l’orizzonte. Chissà cosa guardava o che cosa vedeva “Ezio il pazzo” il quale, non poche volte, si rifiutava di segnare reti praticamente già fatte perchè, diceva “Il gol è l’ultimo atto, la fine del sogno che ti ha portato a costruirlo. Molto più bello il viaggio dell’arrivo al traguardo”. In pochi lo capivano.  Certamente non Luis Vinicio che, come allenatore, se lo trovò per una stagione nel suo Napoli.

    Il pubblico adorava Vendrame. Il tecnico lo detestava e spesso lo escludeva dalla rosa titolare. “Se mi mandi in tribuna io godo” gli urlava Ezio. E quella frase fu anche il titolo di un suo libro.

    Prima di scomparire dallo “società civile” ha anche tentato di allenare. I bambini della squadra del suo paese. Si divertivano un sacco, con lui. Peccato che a bordo campo ci fossero i genitori. “Il mio ideale sarebbe poter avere una squadra di orfani”. Dopo quella frase scomparve tra le nuvole che fanno da cappello alle sue montagne e soltanto pochi e pazzi poeti come lui hanno ancora la fortuna di poterlo incontrare e di ascoltare le sue storie vere. 

    ​1968, calcio e pugni chiusi. 4a puntata

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