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  • Zemanlandia ha chiuso i battenti: è stata solo una grande illusione

    Zemanlandia ha chiuso i battenti: è stata solo una grande illusione

    • Furio Zara
    E poi bisogna fare i conti con la realtà. La notizia di Zdenek Zeman esonerato dal Pescara ci impone di ripensare al percorso del Boemo, alla sua carriera spesa al servizio dell’«Idea», alla sua unicità, a quanta bellezza e a quante illusioni ha seminato. Che Zemanlandia non esista più è ormai un fatto, che Zeman abbia perso il suo magic-touch pure. La sua grande forza - da anni - è sempre stata quella di portare con sé la scintilla di una rivoluzione. Nella tua squadra avevi Zeman in panchina? Sicuro che la tua squadra avrebbe segnato valanghe di gol, sicuro che ne avrebbe presi altrettanti. E tenere la contabilità delle partite - da un 4-3 ad un 2-5 passando per un pirotecnico 3-3 - si sarebbe rivelato comunque uno spasso.

    Non ci si annoiava mai, con Zeman. Ci si fregiava della propria «diversità», per questo è stato un allenatore trasversale, amato da tutti - persino nelle due sponde romane - a prescindere, perché non è mai stato importante, per Zeman, raggiungere il traguardo, ma mancarlo, quindi perdere, ma sempre in bellezza. Ha fatto più discepoli lui di certi allenatori che qualcosa - eccome - hanno vinto. Ebbene: il dato sconcertante è che il Pescara è il 14° attacco della serie B, ma detiene - fedele alla linea - la quinta peggior difesa del torneo. Una volta dove c’era utopia, c’era Zeman. E il prefisso era sempre lo stesso: 4-3-3. Le recenti tappe - Roma, Cagliari, Lugano, Pescara - del più mistico e affascinante degli allenatori negli ultimi trent’anni segnano irrimediabilmente una fine distillata in tanti piccoli fallimenti.

    Dal 1983 (Licata) ad oggi ha allenato sedici squadre, alcune (Foggia, Roma, Lecce, Pescara) in periodi diversi, è stato esonerato nove volte, ha vinto poco (due promozioni dalla B alla A con il Foggia dei miracoli e con il Pescara di Insigne, Immobile e Verratti, uno dalla C2 alla C1 col Licata alla metà degli anni ’80), quando ha provato ad esportare il suo «verbo» all’estero (Fenerbahce, Stella Rossa, Lugano) è sembrato sempre fuori-sincro, come quando in tivù c’è uno che apre bocca e il parlato arriva un attimo prima, o un attimo dopo: a maggio farà settantuno anni, ne avrà ancora voglia? Zeman ha lisciato un Pescara 13° con 36 punti, ma di fatto a soltanto 3 punti dalla zona play off. Niente di irrimediabile. Tutto si sarebbe potuto aggiustare. Ma era svanita l’illusione, non bruciava più la scintilla. Zeman non ha mai alzato un trofeo, ma ha sempre indicato - con il suo gioco, con il suo modo di intendere il calcio - nuovi orizzonti. Poi contava poco se ci si andava o meno, verso quell’orizzonte circondato da nuvole di fumo, consolava il fatto di poterlo indicare con il dito: lo vedi, laggiù, il sole che sta nascendo? Questo è stato il nostro errore con Zeman, aver confuso ogni inizio con un’alba, per scoprire invece che si trattava ogni volta del più rapido dei tramonti.

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