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  • Capello, il voltagabbana della panchina: vincere conta più dell'affetto dei tifosi

    Capello, il voltagabbana della panchina: vincere conta più dell'affetto dei tifosi

    • Antonio Martines

    Vincente come pochi, ma mai veramente amato. Stiamo parlando di Fabio Capello, il tecnico italiano più vincente degli anni '90, quello che ha raccolto vittorie in tutti i club in cui è andato, che ha allenato fior di campioni e che si è imposto persino in una piazza storicamente difficile come quella di Roma e della Roma in particolare. Eppure, nonostante ciò stiamo parlando anche dell'unico grande allenatore nella storia del calcio italiano a non essere rimasto veramente nei cuori di nessuno. Capello infatti, a differenza di Trapattoni, Sacchi, Lippi e altri, non è mai riuscito a instaurare un vero legame sentimentale con nessuna delle piazze in cui è stato.


    Col Milan sembrava amore eterno, soprattutto in virtù di un ciclo di vittorie che segnò la storia del calcio italiano e internazionale, ma una volta concluso, Capello spiccò il volo verso altri lidi in cerca di nuova gloria, e da li in poi emerse un lato della sua personalità che gli impedi di essere amato fino in fondo. Nella stagione 96/97 infatti venne ingaggiato da un Real a pezzi e per la prima volta nella sua storia fuori dalle coppe europee, Capello riuscì subito a risollevare le sorti della squadra e dopo un testa a testa entusiasmante con il Barcellona di Ronaldo e Figo riportò il Real sul trono di Spagna. Una vittoria stupenda che rimase impressa nella memoria dei madridisti ma, clamorosamente a fine stagione, Capello fece ritorno al Milan.

    Ufficialmente perché non seppe resistere al richiamo della casa madre, che in quella stagione aveva ottenuto un disastroso undicesimo posto, ufficiosamente perché pare che il buon Fabio provò ad accordarsi con gli eterni rivali blaugrana un attimo dopo la conquista del titolo; un affronto che alla Casa Blanca proprio non mandarono giù, e da qui il suo ritorno in rossonero, che peraltro non fu affatto felice...

    Arrivato sulla panchina della Roma dopo un anno di inattività, Capello accetta una scommessa prestigiosa e difficilissima, nella capitale si prende un anno di studio, e alla sua prima stagione ottiene solo un deludente sesto posto, ma nel secondo anno conquista quella che avrebbe dovuto essere la sua immortalità nella Città Eterna, Capello infatti conquista il terzo scudetto della storia giallorossa grazie anche e soprattutto al mostruoso sacrificio economico di Sensi, che gli regalò una dorsale formata da Samuel, Emerson e Batistuta. All'ombra del Cupolone Capello sembra aver trovato la sua dimensione ideale, non fa che tessere le lodi della città, dei tifosi e del clima, abita in un posto meraviglioso dalle parti dell'Aventino e si gode la bellezza di Roma andando per musei e ristoranti. Sembra che quello nei confronti della città eterna sia anch'esso un amore eterno, tanto che alla fine della stagione 2003/2004 disse che mai e poi mai sarebbe andato ad allenare un club come la Juve... e che cosa combina alla fine di quella stagione? Si fa ingaggiare proprio dalla Juve! Un affronto che a Roma non digerirono e non digeriranno mai fino alla fine dei tempi, in un colpo solo si cancella l'impresa dello scudetto e Capello diventa un nemico odiatissimo.

    Sotto la Mole, in molti sono convinti che finalmente Capello abbia trovato il suo ambiente naturale. In fin dei conti lui era un protagonista assoluto di quella grande Juve degli anni '70, e quindi venne considerato come una sorta di figliol prodigo che dopo mille traversie aveva fatto ritorno alla sua vera casa madre. Niente di più sbagliato! Anche alla Juve infatti gli furono fatali certe sue improvvide dichiarazioni, e cosi mentre all'orizzonte della Juve già si addensava minacciosa l'apocalisse di Calciopoli, lui durante i surreali festeggiamenti del ventinovesimo scudetto al San Nicola di Bari, disse che sarebbe comunque rimasto, indipendentemente dall'esito del processo. Sappiamo tutti bene come andò a finire...qualcuno arrivò addirittura ad ipotizzare, che quella fu una sorta di vendetta a livello inconscio che Capello covava dentro di se da almeno trent'anni, perché pare che non digerì mai il suo trasferimento al Milan e soprattutto lo scambio con Benetti.

    Come uno Schettino ante litteram lascia una Juve che affonda nel bel mezzo della tempesta peggiore della propria storia e ritorna a un Real nuovamente in cerca di riscatto. E lui prontamente glielo restituisce, ma questa volta al Bernabeu non sono affatto teneri con lui, non apprezzano per niente il suo gioco sparagnino e lo fischiano sonoramente, tanto da scatenare una sua reazione clamorosa e sconsiderata: il famoso dito medio verso le tribune alla fine della partita vinta per 1-0 contro la Real Saragozza. A fine stagione, nonostante la conquista di un titolo ottenuto in modo rocambolesco e difficile, viene clamorosamente esonerato. Al Real non gradirono la sua gestione del gruppo e soprattutto la mancanza di bel gioco.

    Da li in poi Capello non vinse più alcun trofeo e trovò anche il modo di non farsi amare dai tifosi della Nazionale Azzurra, perché prima accettò la corte dei leoni bianchi d'Inghilterra e poi disse che per lui il fascino di quella maglia era superiore persino a quello dell'Italia; forse perché l'Italia aveva vinto un mondiale con il suo rivale Lippi? Chi può dirlo...di sicuro rimane il fatto che Fabio Capello, non sarà mai amato come sono stati amati i vari Trapattoni, Sacchi, Lippi o Liedholm, forse perchè a differenza sua, oltre che a vincere non erano anche capaci di voltare le spalle con disinvoltura e andarsene all'improvviso. Una disinvoltura che evidentemente in quegli anni ha pagato bene e continua farlo ancora, ma che adesso gli sta costando non poco in termini di popolarità e memoria storica.

    @Dragomironero


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