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  • Un uomo solo al comando: il suo nome è Davide Nicola

    Un uomo solo al comando: il suo nome è Davide Nicola

    • Marco Bernardini
    E’ un finale di primavera bollente come mai. Le strade sono liquide. Mille e cinquecento chilometri sono la distanza che separa la Terra dalla Luna. Eppure la bici va. Sbuca da una curva con addosso la maglia che ha i colori della squadra con la quale è riuscito a realizzare la “pazza impresa”. La pedalata è costante, ma decisa. Non suda. Come tutti i cavalli di razza. La fatica è un’opinione. Lo dice il Buddha del quale lui conosce gli insegnamenti. E la sua bicicletta da corsa sembra procedere da sola. Lui, Davide Nicola, è un uomo solo al comando.
    Solo, davanti al gruppo dei suoi pensieri più intimi e più profondi. Solo, lungo la strada che da Crotone porta a Torino impegnato in una sorta di Giro d’Italia mistico. Solo, come il pellegrino che procede a piedi verso Santiago de Compostela. Solo, per chi lo osserva passare e riconoscendolo lo saluta con simpatia. Ma lui sa di non essere solo. 

    Accanto a lui c’è un giovane angelo che si chiama Alessandro. Ha le ali piccole ma ugualmente potenti. Se papà è in crisi di zuccheri o se l’accumulo di acido lattico comincia a provocare i crampi ai polpacci ci pensa lui, celeste e invisibile “gregario”, a spingerlo e a sostenerlo.
    Forse è la prima volta che padre e figlio sono riusciti a ritagliarsi una vacanza così lunga tutta per loro. Era sempre stato un problema per Davide Nicola esserci fisicamente con la continuità di un impiegato che torna a casa tutte le sere per cena. Due chiacchiere, un po’ di televisione e poi il bacio della buonanotte. Domani sarà un altro giorno più o meno identico a quelli che lo hanno preceduto. Per la famiglia Nicola, no.
    Vagabondo per professione. Essere allenatore di calcio non sai mai dove ti tocca andare per guadagnare il pane. E Vigone, dove abita la sua tribù, non è certamente terra di pallone che conta. Torino, che pure è a uno schioppo, è su un altro pianeta. Le ferie estive, quando il pallone non rotola, sono appena un lampo nel buio. Si vivono in fretta. Troppo in fretta.
    Ora sono insieme, finalmente. Da soli. La moglie di Davide e gli altri quattro fratelli di Alessandro si faranno trovare davanti all’ingresso del nuovo stadio Filadelfia quando padre e figlio arriveranno a Torino. Possono parlare, lungo la strada. E questa volta sarà il ragazzino a fare da maestro raccontando al babbo cose che lui non può sapere perché oltre il velo esistono meraviglie impossibili persino da immaginare.
    Sapeva, Nicola, che lo avrebbe trovato alla partenza del suo “Giro”. Lo voleva. Per crescere ancora di più dentro succhiando il latte offertogli da chi era stato obbligato dal destino a rimanere giovane per sempre. Lo aveva scritto nella lettera spedita da Crotone il giorno successivo all’impresa. “Saremo di nuovo insieme anche se so che durante tutto questo tempo non mi hai mai abbandonato”. Tanto tempo. 
    Tre anni, proprio al 15 di luglio. Il giorno in cui Alessandro finì a quattordici anni schiacciato dalle ruote posteriori di un pullman nel suo piccolo paese del Piemonte. Papà era a Livorno dove lavorava. Uno strappo all’anima di quelli impossibili da rammendare. Passano giorni e anni, ma immutata e feroce resta la voglia di recuperare. Non basta il ricordo, dolente e doloroso. Ci vuole una bella “vacanza” insieme. 
    Eccoli, dunque. Giorno e notte. La gente, a bordo strada, può vedere soltanto un uomo solo al comando. Ma Davide Nicola, allenatore di calcio e protagonista di una storia struggente, non è affatto solo. I suo piedi sfiorano appena i pedali della bicicletta. A farlo volare verso il traguardo provvedono due ali. 

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