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  • Storia di Franco Torresi, l'ultimo fondatore della Sampdoria che fu amico di Prisco e Agnelli

    Storia di Franco Torresi, l'ultimo fondatore della Sampdoria che fu amico di Prisco e Agnelli

    • Renzo Parodi
    Ha vissuto almeno una decina di vite dentro la vita e in vista dei 98 anni di età, è serenamente spirato a Lisbona, ultima tappa di una vita tutta vissuta in movimento: Spagna, Angola, Brasile, Francia, Stati Uniti, Portogallo. Franco Torresi era l’ultimo superstite fra i fondatori della U.S. Sampdoria, nata il 12 agosto 1946 dalla fusione tra i due gloriosi club cittadini: l’Andrea Doria, (fondata nel 1901) sciolta d’autorità dal fascismo nel ’27 e riabilitata nel ’46, e la Sampierdarenese, che aveva attraversato l’intero anteguerra duellando col Genoa, la squadra primigenia. 

    Torresi aveva lasciato l’Italia alla fine della guerra, aveva  vissuto in Spagna con la prima moglie, in Angola, dove aveva accumulato una fortuna producendo cellulosa; dopo l’indipendenza il governo comunista lo aveva espropriato della sua fortuna, di cui rientrò in possesso grazie al governo portoghese. In Brasile era conosciuto come il re della dinamite e soggiornava in una favolosa villa a Botafogo, quartiere per vip di Rio de Janeiro. E poi San Francisco, Parigi e le vacanze a Tangeri, la villa accanto alla villa di Gianni Agnelli, suo commilitone sul fronte russo; come l’avvocato Giuseppe Prisco, futuro vicepresidente dell’Inter, ufficiali degli Alpi entrambi: Torresi capitano di artiglieria nella Divisione Taurinense, Prisco tenente della Divisione alpina Julia. Con lui, Torresi condivise la tremenda ritirato sul Don

    Marchigiano di origine, di famiglia titolata – il padre, conte, era stato fra gli ingegneri progettisti della linea Maginot prima di trasferirsi a Genova - Torresi aveva mostrato una precoce vocazione per gli affari. Il primo matrimonio lo condusse in Spagna e da lì fu una girandola di paesi, affari, relazioni, esperienze. Un vero cittadino del mondo. Repubblicano convinto – fu uno dei finanziatori-sostenitori del senatore Barry Goldwater, esponente della destra del partito, nella corsa alla presidenza nel 1964, Torresi aveva vissuto a lungo in una sontuosa villa a Palm Spring, in California. Lo scorso anno era venuto a Rapallo per il matrimonio del figlio Frank junior, avvocato come lui, che esercita Los Angeles. Accompagnato dalla seconda moglie Joana, Torresi era stato ospite del fraterno amico l’avvocato Mario Sguerso, nipote di Eugenio Pendola, uno dei fondatori della sezione calcio dell’Andrea Doria. Torresi è stato lucidissimo, fino all’ultimo giorno. Un fiume di ricordi, soltanto la guerra era una parentesi cancellata: “Al fronte sono morti i migliori, siamo rimasti noi, gli straccetti”, soleva dire, chiudendo l’argomento. 

    Aveva seguito la Sampdoria in ogni angolo del mondo per decenni attraverso la radio, la tv e le voci degli amici. Studente del liceo ginnasio Andrea Doria, prima dello scoppio della guerra frequentò i campi da tennis della società ginnastica del quartiere genovese di Carignano e giocò a hockey su prato sul campo della Nafta, l’odierno stadio Carlini di San Martino. Poi la guerra, il gelo della steppa, i tanti compagni caduti. Al rientro in Italia, la laurea in giurisprudenza e subito alla ribalta. Anche il calcio tentava faticosamente di rialzarsi sulle macerie del devastante conflitto. Il fascismo aveva decretato nel ’27 la scomparsa della Andrea Doria, squadra di calcio che per quasi un trentennio aveva duellato col Genoa, vincendo sei volte il titolo del campionato di calcio organizzato dalla Federazione Ginnastica. Torresi sentì il dovere di rimediare all’oltraggio deciso dal regime. 

    Partecipò in rappresentanza della società doriana al congresso di Firenze del maggio 1946 che doveva rifondare il calcio italiano stabilendo la composizione dei  gironi
    . La discussione di incagliò subito sul numero delle società che avevano diritto a partecipare alla serie A. La Lazio, come il Napoli, nel ’27 si era avvantaggiata dalla scomparsa dell’Andrea Doria e si schierò al suo fianco quasi a voler fare ammenda del favore ricevuto. La politica, neppure troppo sottotraccia, si era già impadronita dell’assise e le scelte rischiavano di essere dettate, anziché dallo spirito di de Coubertin, dagli interessi di bottega dei blocchi politici contrapposti. Torresi temeva le mene dei comunisti.

    Nello specifico esisteva un problema: l’Andrea Doria aveva conservato il titolo sportivo, ma non possedeva più un terreno di gioco, la storica Cajenna infatti era stata assorbita dal campo del Genoa, che vi aveva costruito la gradinata Nord dello stadio Luigi Ferraris. L’appoggio aperto e convinto di Gianni Agnelli, divenuto suo amico sul fronte russo, risultò decisivo per le fortune doriane. Il peso della Fiat salvò la Doria dalle trame di chi avrebbe voluto tagliarla fuori una seconda volta dal calcio che conta. E fu riammessa alla serie A, prologo della fusione con la Sampierdarenese che il 12 agosto 1946 diede i natali alla Uc Sampdoria.

    Mentre a Firenze si litigava, a Genova si lavorava per propiziare un matrimonio di necessità, che avrebbe salvato l’altra società genovese a rischio scomparsa: la Sampierdarenese versava infatti in serie difficoltà economiche. Le trattative fra le parti si svolsero proprio nell’ufficio del padre di Torresi, in galleria Mazzini. ''I dirigenti sampierdarenesi giocarono sul fatto che l’Andrea Doria calcio era nata come filiazione della società ginnastica per alzare il prezzo della fusione'', ricordava Torresi. ''Anche all’interno della nostra società gli scontri furono forti, non tanto come a Sampierdarena però, là il fronte antifusionista risultò assai agguerrito e minacciò di far saltare l’intesa. Buttignol, delegato dei rossoneri, era un uomo molto duro e rivendicava per la Sampiedarenese il titolo sportivo alla serie A e ce lo sbatté in faccia: “L’unico titolo che avete è che siete una manica di comunisti!”, replicai io a muso duro''. I motivi economici risolsero il dilemma. L’Andrea Doria aveva ampia disponibilità economica, la Sampierdarenese, no. Gli ultimi ostacoli riguardarono il nome del nuovo club e la maglia. Torresi confessò di aver giocato sporco: ''Tentai di far valere l’ordine alfabetico: Quindi Doria-Samp, ma finì con Samp-Doria. Per la maglia proposi il biancoblù doriano col colletto bordato del rossonero della Sampierdarenese. Buttignol andò su tutte le furie e minacciò di far saltare l’accordo. Dopo infinite discussioni e tentativi grafici si convenne sullo sfondo non più col blu doriano ma con l’azzurro e le strisce orizzontali bianco-rossonere. A me, monarchico, l’azzurro Savoia andava benissimo''. 

    La nuova squadra, ribattezzata “dei milionari” in virtù delle disponibilità finanziarie della dirigenza di matrice doriana, si rafforzò prelevando il bomber Pino Baldini dall’Inter e l’amicizia fra Torresi e Prisco risultò decisiva per combinare l’affare. ''Cercai di portare a Genova anche il portiere Valerio Bacigalupo, che avevo notato durante un’amichevole col Grande Torino– ricordò Torresi – ma non mi riuscì''. Trasferendosi alla Sampdoria,  Valerio sarebbe scampato alla tragedia di Superga. 

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