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  • Milan-Inter, i derby di Meazza. E quella volta che i napoletani lo fischiarono

    Milan-Inter, i derby di Meazza. E quella volta che i napoletani lo fischiarono

    • Alessandro Bassi
      Alessandro Bassi
    Dici Meazza e subito ti viene in mente Milano e il suo derby. “Peppin” Meazza ha scritto la storia dell'Inter – e della Nazionale italiana, ha giocato anche per il Milan e a lui è intitolato lo stadio di San Siro, il tempio del calcio meneghino.

    IL BALILLA - Con tutta probabilità non si esagera se si considera Meazza il più estroso fantasista del nostro calcio. Dotato di una smisurata intelligenza calcistica, Giuseppe Meazza era un artista prestato al gioco del calcio, un artista che con il suo tocco vellutato, i suoi dribbling e le sue invenzioni estemporanee ha saputo entusiasmare un'intera nazione. Il suo estro calcistico nasce per strada, tra Porta Romana e Porta Vittoria, a Milano, dove trascorre la sua fanciullezza a dar calci ad un pallone, spesso fatto di stracci. Ancora giovanissimo viene scartato dal Milan, troppo mingherlino e gracile – dicono. All'Inter non la pensano così e a quattordici anni entra a far parte dei boys nerazzurri. Il primo ad accorgersi davvero di Meazza è un giocatore, estroso anch'egli, che ha la vista lunga nel capire che quel ragazzino di strada ne farà. Quel giocatore è Fulvio Bernardini, non proprio uno qualsiasi: Bernardini segnala il giovane Meazza ad Arpad Weisz, l'allenatore ungherese della prima squadra, che comincia a seguirlo, a visionarlo tanto che lo fa esordire in prima squadra a diciassette anni. Pochi diciassette anni, soprattutto per il vecchio Leopoldo Conti che negli spogliatoi appena saputa la formazione, pare abbia sbottato pressapoco “Adesso ci tocca giocare anche con i balilla”. Eh, fatto è che il “balilla” Meazza in quella partita segna tre reti e non smetterà più. Dei suoi gol è pieno anche il derby milanese: ben 12 le reti segnate al Milan nei suoi anni interisti (mai nessuno come lui), ma ne segna uno anche all'Inter quando indossa la casacca rossonera. A dir la verità il Meazza milanista è in fase calante, ma riesce ugualmente a mettere il suo sigillo in un derby, quello pareggiato 2-2 nel febbraio del 1941.


    DAGLI INSULTI ALL'ESTASI: L'ESORDIO IN AZZURRO - Tre volte capocannoniere del campionato italiano, re dei marcatori nei derby di Milano, segna 278 reti in 433 partite ed è a tutt'oggi il secondo miglior marcatore di sempre della Nazionale italiana, dietro a Gigi Riva, un altro che di gol se ne intendeva. I gol, certo. I “gol alla Meazza” erano spesso molto simili tra loro e anche molto semplici da raccontare, ma estremamente difficili da evitare per le difese avversarie. Rapido controllo del pallone, dribbling e poi via verso il portiere: Meazza quasi si arrestava per invitare il portiere all'uscita e a quel punto lo beffava con piatto preciso e letale. Anche il suo esordio in Nazionale è accompagnato dal gol. Pozzo fa esordire Meazza non ancora ventenne il 9 febbraio del 1930 e la decisione suscita alla vigilia molte polemiche. Soprattutto tra i tifosi del centro-sud. A raccontare bene i fatti è Alfio Caruso. A dicembre del 1929 l'Italia di Pozzo disintegra il Portogallo 6 a 1 e a mettersi in luce è il duo napoletano Sallustro-Mihalich; per l'incontro successivo del 9 febbraio contro la Svizzera Pozzo – pur non essendo molto convinto della scelta – è dell'idea di confermare i due napoletani e manda il giovane Meazza con la Nazionale B a Marsiglia, senonché alla vigilia del match Mihalich si rompe un braccio. Pozzo quindi decide non solo di sostituire l'infortunato Mihalich, ma anche Sallustro che viene dirottato alla Nazionale B e convoca al posto loro i giovanissimi Ferrari e Meazza, non prendendo in considerazione il romanista Voik. A questo punto la storia diventa anche una storia di treni. C'è quello che da Milano prende la mamma del balilla per assistere all'esordio in maglia azzurra del figlio e c'è quello che da Napoli porta a Roma un migliaio di tifosi inferociti contro il commissario unico. Durante la partita l'atmosfera è elettrica e surreale, una parte dello stadio incita gli azzurri e un'altra sommerge di fischi Meazza appena tocca palla e la mamma ne rimane profondamente turbata. L'Italia va prima sotto 0-2, poi agguanta il pareggio, ed è allora che sale in cattedra Meazza segnando la doppietta che non solo regala la vittoria all'Italia, ma mette d'accordo tutto lo stadio che ha applausi soltanto per lui. Un predestinato, Meazza, anche in Azzurro. La sua carriera con la Nazionale è di assoluto rilievo, vince per due volte la Coppa del Mondo e due edizioni della Coppa Internazionale e diventa il secondo miglior marcatore di tutti i tempi con 33 reti realizzate in 53 partite.


    BRILLANTINA E SCARPE BULLONATE - Il 1938 è decisamente il “suo” anno, il suo ultimo, immenso, anno: scudetto con l'Inter – meglio, Ambrosiana-Inter come si diceva alla fascista – capocannoniere del campionato e della Coppa Italia, campione del mondo con l'Italia. Il successo di Meazza va ben oltre i campi da calcio. È un divo di quegli anni, amato dalle folle e dalle donne. Bello, occhi azzurri e sguardo languido, pettina i capelli accuratamente con la brillantina, tanto che “brillantina” è un altro dei suoi soprannomi. La dolce vita del balilla, prima che Fellini ne racconti un'altra anni dopo, è fatta di lusso, automobili, belle donne e champagne. Eppure proprio all'apice della sua carriera Meazza deve stare fermo oltre un anno per una malattia, un'occlusione dei vasi sanguigni al piede destro – patologia nota come “piede gelato”, che lo minaccia anche di doversi amputare l'arto. Quando torna a calcare i campi da calcio non è più lo stesso, passa ai cugini del Milano e con i rossoneri gioca due campionati ma non incide. Durante la guerra gioca anche un anno con la Juventus griffata Cisitalia e poi conclude la sua straordinaria carriera nel 1947 ancora all'Inter, dove svolge il duplice ruolo di giocatore e allenatore. Il secondo tempo della sua vita calcistica non è affatto scintillante come il primo. Allena Atalanta, Inter, Pro Patria e – per soli cinque mesi – i turchi del Besiktas ma senza mai neppure avvicinarsi alle vette raggiunte da calciatore. Scivola veloce nell'oblio e si spegne il giorno del suo sessantanovesimo compleanno; qualche mese più tardi, nel marzo del'80 gli verrà intitolato lo stadio di San Siro, che è stato per davvero la sua casa.


    (Alessandro Bassi è anche su http://storiedifootballperduto.blogspot.it/)

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