Calciomercato.com

  • Per la promessa di capitan Valentino il Toro andò a giocare con gli angeli

    Per la promessa di capitan Valentino il Toro andò a giocare con gli angeli

    • Marco Bernardini
    Il rogo sulla cima della collina di Superga dove, nella Basilica, dormono re e regine fu soltanto il dolente sigillo posto sopra un cerchio che il destino aveva cominciato a tracciare due mesi prima lontano da Torino. A Genova, nello spogliatoio dello stadio di Marassi, al termine di una partita amichevole tra la nazionale azzurra e quella del Portogallo. Aveva vinto l’Italia per quattro a uno quel 27 febbraio del 1949, in palio c’era soltanto il prestigio e dopo il fischio di chiusura i giocatori delle due squadre si erano attardati per i reciproci saluti e complimenti. Fu lì che il capitano degli azzurri, Valentino Mazzola, fece una promessa al suo amico e collega portoghese Ferreira il quale gli aveva confermato che a fine stagione avrebbe chiuso con il pallone. 

    “Per celebrare degnamente il tuo addio ci vuole un evento speciale. Porterò il mio Toro a Lisbona e ci divertiremo.” I due leader stabilirono insieme il giorno della data per quell’incontro così ricco di fascino. Il 3 maggio, mese delle rose. Il giorno successivo la squadra granata avrebbe fatto ritorno a casa. Non arrivò mai all’aeroporto di Caselle. Scomparve dentro quel rogo mentre dal cielo veniva giù il finimondo e i torinesi, con il naso all’insù, osservavano la nuvola di fumo nero che si alzava dalla cima della collina e si chiedevano cosa mai stesse accadendo. Erano i giocatori della squadra più forte del mondo che avevano messo le ali. Tutti insieme stavano viaggiando per la  trasferta più lunga. Il viaggio definitivo verso la leggenda per ciascuno di loro che era già un mito. 

    E’ rimasto più nessuno, oggi, che possa raccontare perché aveva visto e vissuto. Anche il superstite Tomà, dopo sessantanove anni, ha raggiunto i compagni con i quali non era partito per Lisbona a causa perché non stava bene. Sopravvive, per fortuna, la memoria sollecitata dalle pagine di Storia dove è giusto che anche coloro i quali conoscono per sentito dire approfondiscano il loro sapere per poi donarlo in eredità a chi verrà dopo. Anche la leggenda del Torino. Quella che non era soltanto una squadra di calcio ma il modello per un riscatto molto più ampio che l’Italia andava cercando scavando tra le macerie di una guerra che aveva lasciato profonde ferite ancora sanguinose. Il 1949 era l’anno culmine per trasformazioni radicali per il Paese e per il suo popolo. Il Toro rappresentava degnamente il sogno della rinascita.

    Amintore Fanfani promuove il piano “INA Casa” per la costruzione di nuove abitazioni per i ceti popolari scatenano le ire degli Stati Uniti perché i soldi sono quelli del progetto Marshall che dovrebbe escludere l’Italia come Paese sconfitto. Un duro scontro politico non impedisce al Governo di approvare l’adesione al Patto Atlantico. Vengono reintegrati al lavoro tutti gli statali che erano stati accusati di collaborazione con i fascismo. Pio XII annuncia che quello successivo sarà Anno Santo. L’Eni di Mattei scopre un giacimento ricchissimo di petrolio a Castelmaggiore. Sfideremo le Sette Sorelle e Mattei, per questo, verrà assassinato. Il Sant’Uffizio decreta la scomunica per atei e comunisti. Viene abolito il razionamento per pane e pasta. Anche l’Italia ha il suo Servizio Segreto, il Sifar. In Calabria, Puglia e Campania gli agricoltori occupano le terre. Nasce il quotidiano Paese Sera e a Roma Tyron Power sposa Linda Christian. Al Milan arriva Nordhal. Il Toro vincerà un nuovo scudetto. L’ultimo. Quello che i granata, tutti insieme, andranno a consegnare agli angeli. Il 4 maggio 1949. Sessantanove anni fa. Come se fosse oggi.

    Altre Notizie